martedì 11 maggio 2021

L'ASSASSINIO DI SISTER GEORGE

        locandina originale (dal sito benitomovieposter.com)

Londra, anni sessanta: June Buckridge è una matura attrice, famosa per il personaggio della simpatica infermiera Sister George in una soap opera di grande successo. Ma l’esuberanza dell’attrice e la sua propensione ad alzare il gomito le hanno inimicato il network, che si prepara a silurarla facendo morire il suo personaggio. La situazione compromette non solo la carriera di June, ma anche il suo rapporto con la sua giovane amante, Alice.

June reagisce nel modo peggiore possibile, manifestando la sua ostilità a missis Croft, l'unica dirigente del network che sembra propensa ad aiutarla. E la situazione precipita quando missis Croft posa gli occhi su Alice…

Nel 1968, dopo il grande successo di una storia tipicamente virile come Quella sporca dozzina, il regista Robert Aldrich torna a esplorare il lato oscuro della femminilità, come aveva già fatto con il dittico Che fine ha fatto Baby Jane? e Piano… piano, dolce Carlotta. Lo fa con un altro dittico, Quando muore una stella e L’assassinio di Sister George: i due film escono a un mese di distanza l’uno dall’altro. E se il primo non ha successo, il secondo ha un esito catastrofico al botteghino. Prevedibilmente, possiamo dire col senno di poi. 

The Killing of Sister George era una pièce teatrale di Frank Marcus. Aldrich la fece adattare dal suo sceneggiatore di fiducia, Lukas Heller, tenne l’interprete teatrale (una travolgente Beryl Reid), affidò la parte della giovane amante a Susannah York e quella della seduttrice Mercy Croft alla matura Coral Browne. Impossibile che il regista non si rendesse conto che il materiale scottava: la figura di June alias “George” è quella di una butch, una lesbica mascolina, che oltretutto qui non si fa scrupolo di ubriacarsi, sollevare le vesti a due suorine e fare battutacce sconce. Al contrario, la giovane amante Alice è infantile (June la chiama Childie, bambina, perché colleziona bambole), ed è ingenua, ma anche manipolatrice. Le due sono legate da una relazione impari, in cui June domina e Alice è sottomessa. Con l’entrata in scena di missis Croft il rapporto tra le due amanti si incrina. La Croft (interpretata da Coral Browne) sembra a prima vista il personaggio più razionale (nonché eterosessuale). Ma è lei, molto più scafata nel gioco della finzione e delle apparenze, ad avere la meglio sulla naiveté ostentata di June e su quella più ambigua di Alice, arrivando a sedurre quest’ultima.

Aldrich si propone il massimo realismo, al punto di girare una lunga sequenza in un vero locale di lesbiche, il Gateways Club su Kings Road. E, soprattutto, insiste nel mettere in scena la seduzione di Alice (assente nella versione teatrale). E sarà proprio questa scena, peraltro assai sofferta dalla York, ad affondare il film ai botteghini. Renata Adler scrive nella recensione per il New York Times che la Browne tasta il seno della York “con l’interesse di un ittiologo per uno strano pesce arenato sulla spiaggia”. La scena è assai esplicita e non esattamente solleticante, anche per la musica, degna di un film dell'orrore. Ma in diversi stati degli USA venne comunque tagliata, per violazione delle leggi sull'oscenità. La censura etichettò il film con il grado “X”, lo stesso dei porno. Aldrich si dichiarò pronto a eliminare completamente la scena pur di tenere il film sugli schermi, ma troppo tardi. A quanto sembrava, il problema era alla radice, nel soggetto. E la pellicola scomparve dai cinema nel giro di pochi giorni.

 

Val la pena di rilevare che il film non si esaurisce comunque nella tematica della love story omosessuale: Aldrich è uno dei primi registi a mettere alla berlina le ipocrisie della fiction televisiva, dimostrando di conoscerne i meccanismi che agiscono dietro le quinte: il siluramento di June dalla soap opera è prima accennato, poi minacciato, poi apparentemente ritirato, in uno stillicidio logorante. E l’abbrutimento grottesco mostrato nel finale è la logica conseguenza dell’”assassinio” – alla fine neanche troppo metaforico – citato nel titolo.

Dal punto di vista registico, qui lo stile di Aldrich è ancora più essenziale, “regia invisibile” alla maniera dei classici (Aldrich lo definì successivamente “la miglior regia che abbia mai fatto”). Ma aldilà di tutto questo è June/George il centro del film. Beryl Reid dà vita al personaggio con impressionante aderenza (il ruolo teatrale le era valso un Tony Award, e quello del film una nomination al Golden Globe), e alcune sequenze, come quella di June e Alice vestite da Stanlio e Ollio, sono quasi toccanti, in bilico tra ironia e tenerezza.

Se il film è stato un disastro al botteghino, nel corso del tempo non è stato dimenticato. Puntualmente recuperato nel corso degli anni in varie rassegne di “cinema sommerso” omosessuale, L’assassinio di Sister George è approdato anche su DVD. L’edizione della 01 Home Entertainment lo presenta nella sua versione originale di 133 minuti (quella uscita nei cinema italiani ne durava 112).


domenica 18 aprile 2021

JESSE JAMES, WE UNDERSTAND... 3^ e ultima parte

 

Nel 2007, a distanza di quasi trent’anni dai Long Riders di Walter Hill, il cinema torna a occuparsi di Jesse James con una produzione ad alto budget (c’è dietro Ridley Scott), dal titolo chilometrico che riverbera la durata del film (due ore e quaranta): L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (The assassination of Jesse James by the coward Robert Ford). Scritto e diretto dal neozelandese Andrew Dominik e basato sul romanzo omonimo di Ron Hansen, il film mette al centro il rapporto tra il fuorilegge e il suo assassino.

Il risultato ha poco del genere western e molto del noir: racconta infatti le vicende della banda James dopo la cattura dei fratelli Younger e la morte dei Miller. I fratelli James sono ancora alla macchia, e il posto degli Younger e dei Miller è preso da delinquentelli di mezza tacca: oltre ai fratelli Bob e Charlie Ford ci sono Wood Hite, Ed Miller e Dick Liddil. Ma la Legge ovviamente non molla la presa sulla banda, e la paranoia del fuorilegge braccato aumenta in parallelo alle tensioni tra i suoi compari. Quando la morsa si stringe intorno a Jesse James, Robert Ford – un tempo ossessionato da Jesse fino al punto di imitarne i tic - si convince a tradirlo. 

 

Raccontata così, la storia sembra avvincente. E invece, nonostante una confezione di tutto rispetto e (fotografia di Roger Deakins, collaboratore abituale dei fratelli Coen) e un ottimo cast, il film arranca per un tempo che sembra interminabile. Dominik si concentra più sulle pause dei criminali che sulla loro attività, senza lasciar emergere una linea narrativa precisa. In questa struttura episodica il film non si differenzia poi tanto dalle pellicole di Kaufman e Hill, se non per la voce del narratore fuori campo, tentativi di paesaggismo “lirico” e, soprattutto, una lentezza devastante. Manca però del tutto – a dispetto del realismo della messa in scena - il contesto storico, a cui le pellicole precedenti si erano dimostrate piuttosto attente. Jesse e i suoi compari non erano atterrati nel Missouri con un’astronave, ma si erano formati nel bagno di sangue della guerra civile. E dopo avevano continuato a vivere con le pistole in pugno nel Sud sconfitto e sbranato dai vincitori. Niente di tutto ciò interessa a Dominik: che parte invece con un ruffianissimo omaggio al suo produttore (una mano in primo piano che accarezza le spighe vi ricorda qualcosa?) per poi procedere con battibecchi e ammazzamenti più o meno casuali tra i banditi, separati da intermezzi a base di nuvole riprese in time-lapse. 


Al centro del racconto dovrebbe esserci il rapporto tra Ford (Casey Affleck) e Jesse James (Brad Pitt) Un’ossessione quasi morbosa del discepolo per il maestro, o del fan per la star. Ma tutto ciò si disperde tra le vicende dei membri della banda - un gruppo di bruti decerebrati - che si trascinano per più di un’ora, senza suscitare un solo palpito nello spettatore.

Il film prende quota solo quando l’azione si concentra tra le quattro mura della casa-rifugio di Jesse a Saint Joseph, nel Missouri. Qui la tensione narrativa finalmente monta, e tutta la parte che conduce all’assassinio è condotta con mano sicura: Pitt-James e Affleck-Bob Ford si scambiano più volte i ruoli del gatto e del topo, in un gioco psicologico sadico che coinvolge anche il fratello di Bob, Charlie (Sam Rockwell). E quando i fratelli Ford si trovano a fare i conti con l’improvvisa celebrità, finalmente il film sembra mettere a fuoco – certo, un po’ tardi – temi interessanti: mediocrità e riscatto, colpa ed espiazione, ybris e destino. 

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2007, L'assassinio di Jesse James ha fruttato la coppa Volpi per migliore attore a Brad Pitt, ed è stato accolto dalla critica con recensioni quasi unanimemente entusiastiche. Il pubblico però si è dimostrato meno sensibile dei critici alle ambizioni del regista: a fronte di un budget di 30 milioni di dollari, il film ne ha incassati 15.

Da segnalare, in mezzo a un cast eccellente, due brevi apparizioni legate alla musica: una - sopravvissuta a stento a massicci tagli di montaggio - è quella di Zooey Deschanel, che interpreta Dorothy Evans, una cantante corteggiata da Bob Ford. Poco più di un cameo, invece, la parte di Nick Cave (co-autore della colonna sonora con Warren Ellis), che canta in un saloon La ballata di Jesse James.


Qui il trailer del film.  


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