mercoledì 22 giugno 2016

MY BACK PAGES: CACCIATORI E PREDE (NN n. 39)

Nel vecchio sito avevo una sezione chiamata "My back pages", in cui avevo raccontato i "dietro le quinte" di alcune storie scritte molti anni prima. In occasione dei festeggiamenti per il venticinquennale di Nathan Never (potete seguirne l'andamento sia sul sito della Bonelli, che su Lo Spazio Bianco), ripropongo qui alcuni di quegli articoli. Partiamo con una storia a cui non sono particolarmente affezionato, affidata prima a un disegnatore, e poi materialmente realizzata da un altro. Si tratta di Cacciatori e prede, ovvero Nathan Never n. 39, agosto 1994. L'articolo risale al 2005.



A volte va bene, a volte va male. L’inizio della sceneggiatura di Cacciatori e prede fu particolarmente tormentato. La storia doveva essere disegnata da Pino Rinaldi, che mi aveva già messo sull’avviso: “Me devi da’ ‘na storia d’azione, io nun li vojo disegna’ seduti, se devono dare un sacco de bbotte, se devono mena’…” Quindi, decisi che i miei riferimenti culturali per questa storia sarebbero stati film sì di genere, ma anche di spessore. Ci siamo capiti: I guerrieri del Bronx di Enzo G. Castellari e cose del genere.

Mi sentivo molto sollevato: niente plot polizieschi con rompicapo da emicrania. L’idea della storia, una volta tanto, l’avevo già tutta in testa, dall’inizio alla fine. Un gruppo di liceali figli di papà, per una stupida scommessa, va nella zona proibita di Hell’s Island e ci rimane intrappolato. Nathan e Legs devono andare a recuperare i ragazzi, ma chiaramente le cose non vanno tutte per il verso giusto…

venerdì 4 marzo 2016

PERO', LA VITA...

Righe scritte a caldo, nel 2012, poco dopo la scomparsa di Lucio Dalla.


Come molti miei coetanei, Lucio Dalla l’ho conosciuto con la canzone Fumetto, sigla della trasmissione televisiva Gli eroi di cartone. Sarà stata la magia dell’infanzia, ma Dalla per me irradiava buonumore. Ed è stato così anche quando, ormai adolescente, l’ho sentito cantare canzoni piene di malinconia.

Ripensando alla sua discografia, c’è una cosa che mi colpisce e che apprezzo oggi forse più di ieri. Anche nei suoi testi più difficili e “impegnati”, come si diceva negli anni settanta, non c’è mai stata quella rabbia cieca – contro la società, i potenti, il destino – che diventa livore nichilista.

C’è sicuramente una sana indignazione “politica” alla base di canzoni (da lui interpretate, ma non scritte) come Itaca, Le parole incrociate o L’operaio Girolamo, ma che trova la sua controparte in altri pezzi programmaticamente leggeri quando Dalla comincia a scriversi da sé i testi (o a scriverli senza scriverli, come il gramelot di Pezzo Zero). Basti pensare alla surreale, spassosa sarabanda Corso Buenos Aires, per non parlare della famosissima Disperato Erotico Stomp.

Quella di Dalla non era un’ironia a denti stretti, utilizzata come estrema difesa dalle brutture del mondo. Era il segno di una capacità genuina di lasciarsi andare, di cogliere l’attimo e cantare la gioia delle cose della vita.

mercoledì 27 gennaio 2016

LA TRAGEDIA DELLA "STRUMA"

In occasione della Giornata della Memoria, ripropongo un articolo pubblicato nel mio vecchio sito il 24 febbraio 2012, settantesimo anniversario di una delle stragi più dimenticate della Seconda Guerra Mondiale: quella della nave Struma. Pur rientrando nella grande tragedia dell’Olocausto, la tragedia della Struma ha una caratteristica quasi grottesca: per un macabro gioco del destino, i nazisti non vi ebbero un ruolo diretto.



Il 12 dicembre 1941 un’imbarcazione di nome Struma lasciava il porto di Costanza, nella Romania occupata dai nazisti. A bordo c’erano quasi ottocento ebrei di tutte le età, in fuga dagli orrori della persecuzione. Avevano visto i loro cari ammassati contro i muri e falciati dalle mitragliatrici, e i cadaveri dei rabbini appesi a ganci da macellaio nelle piazze. I fuggiaschi della Struma intendevano raggiungere il porto di Istanbul e chiedere alle autorità inglesi, responsabili del Mandato di Palestina, il permesso per entrare nel futuro stato di Israele.

La Struma non era una nave vera e propria. Era una chiatta fluviale vecchia di cent’anni, usata per il trasporto del bestiame. Dopo appena quattro giorni di viaggio il motore ebbe un guasto, e risultò impossibile ripararlo. Mancavano gli utensili, e non solo quelli. Prima della partenza, al porto, i doganieri rumeni avevano sequestrato ai passeggeri quasi tutto ciò che essi avevano con sé: a bordo non c’era più cibo né acqua, e nemmeno il carburante per proseguire, ammesso che il motore fosse stato riparato. Il capitano riuscì comunque a raggiungere il porto di Istanbul, ignorando che quella non sarebbe stata una tappa, ma la fine del viaggio della speranza.

Solo un pugno di passeggeri, al momento dell’imbarco, aveva permessi validi per raggiungere il nascituro stato d’Israele. Per tutti gli altri, dal punto di vista della Gran Bretagna, l’ingresso nel medio oriente era vietato. C’era un limite numerico imposto dagli inglesi: solo un numero predeterminato di migranti poteva avere accesso al futuro stato di Israele. In realtà, nel marasma della guerra, molti dei permessi richiesti alle autorità britanniche non erano stati poi utilizzati. La Gran Bretagna avrebbe potuto trasferire questi permessi ai passeggeri della Struma, considerata la drammatica situazione a bordo. Ma non lo fece, per compiacere gli stati arabi che protestavano a gran voce contro le immigrazioni degli ebrei. E gli inglesi non si accontentarono di questo: chiesero alla Turchia di non fare scendere a terra i passeggeri dall’imbarcazione.

Quando i passeggeri, stremati, si appellarono alle autorità turche, si sentirono rispondere che “la Turchia non vuole gente che non è voluta da nessuna parte”. Solo chi aveva il visto inglese riuscì, dopo giorni, a scendere a terra. Quei pochi fortunati definirono la Struma “una bara galleggiante”.

Corrompendo le autorità portuali, alcuni ebrei turchi riuscirono a portare a bordo piccole quantità di acqua e cibo, che non potevano bastare per ottocento persone stipate in un piccolo spazio, in condizioni igieniche spaventose. Il 19 gennaio l’Agenzia Ebraica per la Palestina inoltrò un appello ufficiale alle autorità inglesi, sottolineando che a bordo della Struma ormai la situazione era critica.

Gli inglesi non risposero se non dopo settimane, solo per spiegare che non potevano permettere che i passeggeri sbarcassero; il pretesto era che la Struma proveniva da un paese ostile, e a bordo potevano esserci spie. Poco importava che nello stesso periodo polacchi, jugoslavi e altri profughi non ebrei in fuga dalla Germania o dai paesi sotto il tallone tedesco arrivassero in Medio Oriente senza che gli inglesi avessero da ridire.

Cominciò allora una frenetica trattativa tra l’Agenzia Ebraica e le autorità inglesi e turche per consentire che almeno i bambini (a bordo c’erano 103 minori) potessero proseguire il viaggio verso la Palestina. La trattativa si tradusse in un rimpallo di responsabilità fra turchi e inglesi e non portò ad alcun risultato. Bimbi e ragazzi rimasero a bordo.

Il 23 febbraio la situazione si trascinava da due mesi, e la Turchia decise di sbarazzarsi definitivamente del problema. La polizia turca salì a bordo della Struma e, soffocate a manganellate le proteste dei passeggeri, fece agganciare la chiatta a una nave turca che la trainò al largo, a dieci chilometri dalla costa.

Quando la nave turca si sganciò, la Struma rimase ferma in balìa delle onde. In quei due mesi non era stato possibile riparare il motore. Le scarse provviste a bordo erano finite. Non c’era più cibo né acqua.

L’agonia della Struma e dei suoi passeggeri durò poco. Dopo alcune ore, il mattino del 24, la nave saltò in aria. Un sottomarino sovietico l'aveva avvistata e il comandante, non riuscendo a identificare l’imbarcazione, aveva deciso di considerarla una minaccia, e aveva dato l’ordine di affondarla.

Quando finalmente i turchi mandarono i soccorsi, i passeggeri della Struma erano morti tutti, chi nell’esplosione, chi annegato o assiderato nelle acque gelide. Ci fu un solo superstite, un ragazzo di nome David Stoliar. Dopo avere passato settimane in una prigione turca, il giovane ebbe un permesso speciale per arrivare in Palestina. Lo stesso tipo di permesso arrivò anche a una donna di nome Medea Salamovici. Essendo incinta e a rischio di aborto, la donna era stata fatta scendere dalla Struma per essere ricoverata in un ospedale di Istanbul. L’alto commissario inglese Sir Harold MacMichael si oppose fino all’ultimo alla concessione dei due permessi, sostenendo che avrebbero “aperto la diga alla piena”.

Dei quasi ottocento profughi imbarcati sulla Struma, soltanto due raggiunsero la terra promessa.



Fonti:

Sarah Honig, Lessons from the floating coffin

Joseph E. Katz , The Struma & The unmitigated policy of the British against Jewish refugees fleeing Hitler's war against them

Ayhan Ozer, The Struma tragedy

Hasim Surel, Were Britain and Turkey responsible for the Struma tragedy?

martedì 5 gennaio 2016

"NATHAN" CHI?

Nel 1990, mentre la serie di Nathan Never era in preparazione (avrebbe visto la luce nel giugno 1991), per una serie di inspiegabili circostanze mediatiche si instaurò un clima di attesa intorno al fumetto. Contrariamente a quanto pensano molti, Sergio Bonelli non orchestrò nessuna campagna pubblicitaria per la nostra serie, che ebbe - come si usava e si usa tuttora - la pubblicità sulla quarta di copertina delle altre testate bonelliane. Forse ad attirare l'attenzione dei media fu l'esplosione del fenomeno Dylan Dog (che nel 1990 vendeva già la bellezza di duecentomila copie, e continuava a crescere). O forse fu semplicemente la curiosità per la prima vera serie di fantascienza popolare prodotta in Italia. Fatto sta che, ancora prima che il numero 1 fosse in edicola, pubbliche amministrazioni e circoli culturali cominciarono a richiedere l'allestimento di mostre sul personaggio.I giornali reclamavano interviste. I lettori bramavano anticipazioni. Il nome di Nathan Never cominciò a rimbalzare perfino sulle pagine dei quotidiani. Dopo il debutto in edicola, preso da giovanile entusiasmo, per un anno conservai tutti i ritagli della rassegna stampa e selezionai i più interessanti. A rileggerli oggi, venticinque anni dopo, fanno quasi tenerezza (ma mi stupisce ancora il giudizio tranchant del vignettista Gianni Allegra, che più che offendere noialtri offende i lettori). Ripropongo qui la trascrizione di alcuni di quei ritagli, ricordo di un tempo lontano in cui la strategia dell'hype non esisteva, e i lettori aspettavano i fumetti pregustando la gioia di leggerli.

CHIARO, NO?
il nuovo corso del fumetto campano
Tex hai chiuso, arriva Dylan Dog
-Nella fabbrica della fantasia nasce Nathan Never -
(titolo da La Repubblica ediz. Napoli, 5/12/90)

OTTIMISMO SERRIANO
"...in Dylan Dog c'è il sangue, ci sono le donne nude, quindi il successo. In Nathan Never no."
(intervista ad Antonio Serra su "Nuova Vicenza", 25/4/91)

OTTIMISMO BONELLIANO
"...il modello è Blade Runner, ossia ciò che potrebbero essere Milano o Roma tra dieci anni."
(Sergio Bonelli, intervistato su "L'opinione", 11/12/90)

PRECISIONE & ESATTEZZA
"Al circolo culturale di via Belfiore 24 alle 22 Anteprima di Nathan Never: Antonio (anziché Bepi, ndr) Vigna e i vignettisti (sic) Bastianoni Brothers presentano l'ultimo personaggio della Sergio Bonelli Editore"
(da "Stampa Sera", 23/5/91)

LE PUNTE
"All'incontro di giovedì parteciperanno Antonio Vigna (sic) che, come si è visto, è uno degli ideatori, e i fratelli Bastianoni, che rappresentano una delle punte più importanti del fumetto contemporaneo."
(da "Torino 7" 17-23/5/91, allegato a "La Stampa")

ARTE E CULTURA
"...saranno proiettate una serie di diapositive che hanno lo scopo di spiegare tutto il percorso creativo, in merito a Nathan Never, compiuto dagli autori, sia culturale che artistico."
(da "il Tirreno", 8/6/91)

... BUM!
"Prendete Blade Runner, sommatelo a Alien e Guerre Stellari, con l'aggiunta di un eroe molto umano e credibile: ecco Nathan Never (...)"
(da "Il Giorno", 30/6/ 91)

THE ANSWER, MY FRIEND...
"Ma chi è Nathan Never? Cosa nasconde nel suo angosciante passato? E' un eroe o un antieroe?"
(da "il Tirreno", 8/6/91)

NATHAN NEVER E' DI TUTTO UN PO'...
"Un po' Harrison Ford, un po' Humphrey Bogart, un po' cowboy e un po' poliziotto."
(Da "Il Secolo XIX, 18/6/91)

UN FENOMENO CONSOLATORIO...
"Un fenomeno consolatorio (...) Quella faccia da uomo che non deve chiedere mai, quella mancanza di ironia, quel modo di fare da reazionari. Tutto già visto, retaggio degli anni '80. Piacciono alla gente disinformata, distratta, che non vuole sapere niente (...)"
(G. Allegra, citato da "La Stampa", 30/6/91)

UN CAVALLO...
Parliamo di Nathan Never, ultimo cavallo di razza della scuderia di Sergio Bonelli (...)
(da "L'Unità" del 2/7/91)

"QUASI" NEGATIVO...
"...il primo eroe "quasi" negativo della casa editrice di Tex e Dylan Dog"
(da "La Nazione", 5/5/91)

ALL'ANTICA
"Umanismo un po' all'antica, consolatorio, il suo, molto lontano dall'umanismo tragico di Mills e Deathlok. Un risultato (o meglio un punto di partenza) che non ci sembra granché invitante."
(da "Il Manifesto", 22/5/91)