domenica 18 aprile 2021

JESSE JAMES, WE UNDERSTAND... 3^ e ultima parte

 

Nel 2007, a distanza di quasi trent’anni dai Long Riders di Walter Hill, il cinema torna a occuparsi di Jesse James con una produzione ad alto budget (c’è dietro Ridley Scott), dal titolo chilometrico che riverbera la durata del film (due ore e quaranta): L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (The assassination of Jesse James by the coward Robert Ford). Scritto e diretto dal neozelandese Andrew Dominik e basato sul romanzo omonimo di Ron Hansen, il film mette al centro il rapporto tra il fuorilegge e il suo assassino.

Il risultato ha poco del genere western e molto del noir: racconta infatti le vicende della banda James dopo la cattura dei fratelli Younger e la morte dei Miller. I fratelli James sono ancora alla macchia, e il posto degli Younger e dei Miller è preso da delinquentelli di mezza tacca: oltre ai fratelli Bob e Charlie Ford ci sono Wood Hite, Ed Miller e Dick Liddil. Ma la Legge ovviamente non molla la presa sulla banda, e la paranoia del fuorilegge braccato aumenta in parallelo alle tensioni tra i suoi compari. Quando la morsa si stringe intorno a Jesse James, Robert Ford – un tempo ossessionato da Jesse fino al punto di imitarne i tic - si convince a tradirlo. 

 

Raccontata così, la storia sembra avvincente. E invece, nonostante una confezione di tutto rispetto e (fotografia di Roger Deakins, collaboratore abituale dei fratelli Coen) e un ottimo cast, il film arranca per un tempo che sembra interminabile. Dominik si concentra più sulle pause dei criminali che sulla loro attività, senza lasciar emergere una linea narrativa precisa. In questa struttura episodica il film non si differenzia poi tanto dalle pellicole di Kaufman e Hill, se non per la voce del narratore fuori campo, tentativi di paesaggismo “lirico” e, soprattutto, una lentezza devastante. Manca però del tutto – a dispetto del realismo della messa in scena - il contesto storico, a cui le pellicole precedenti si erano dimostrate piuttosto attente. Jesse e i suoi compari non erano atterrati nel Missouri con un’astronave, ma si erano formati nel bagno di sangue della guerra civile. E dopo avevano continuato a vivere con le pistole in pugno nel Sud sconfitto e sbranato dai vincitori. Niente di tutto ciò interessa a Dominik: che parte invece con un ruffianissimo omaggio al suo produttore (una mano in primo piano che accarezza le spighe vi ricorda qualcosa?) per poi procedere con battibecchi e ammazzamenti più o meno casuali tra i banditi, separati da intermezzi a base di nuvole riprese in time-lapse. 


Al centro del racconto dovrebbe esserci il rapporto tra Ford (Casey Affleck) e Jesse James (Brad Pitt) Un’ossessione quasi morbosa del discepolo per il maestro, o del fan per la star. Ma tutto ciò si disperde tra le vicende dei membri della banda - un gruppo di bruti decerebrati - che si trascinano per più di un’ora, senza suscitare un solo palpito nello spettatore.

Il film prende quota solo quando l’azione si concentra tra le quattro mura della casa-rifugio di Jesse a Saint Joseph, nel Missouri. Qui la tensione narrativa finalmente monta, e tutta la parte che conduce all’assassinio è condotta con mano sicura: Pitt-James e Affleck-Bob Ford si scambiano più volte i ruoli del gatto e del topo, in un gioco psicologico sadico che coinvolge anche il fratello di Bob, Charlie (Sam Rockwell). E quando i fratelli Ford si trovano a fare i conti con l’improvvisa celebrità, finalmente il film sembra mettere a fuoco – certo, un po’ tardi – temi interessanti: mediocrità e riscatto, colpa ed espiazione, ybris e destino. 

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2007, L'assassinio di Jesse James ha fruttato la coppa Volpi per migliore attore a Brad Pitt, ed è stato accolto dalla critica con recensioni quasi unanimemente entusiastiche. Il pubblico però si è dimostrato meno sensibile dei critici alle ambizioni del regista: a fronte di un budget di 30 milioni di dollari, il film ne ha incassati 15.

Da segnalare, in mezzo a un cast eccellente, due brevi apparizioni legate alla musica: una - sopravvissuta a stento a massicci tagli di montaggio - è quella di Zooey Deschanel, che interpreta Dorothy Evans, una cantante corteggiata da Bob Ford. Poco più di un cameo, invece, la parte di Nick Cave (co-autore della colonna sonora con Warren Ellis), che canta in un saloon La ballata di Jesse James.


Qui il trailer del film.  


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sabato 10 aprile 2021

JESSE JAMES, WE UNDERSTAND... (2^ parte)

 

I cavalieri dalle lunghe ombre (The long riders, 1980) di Walter Hill può contare su un’idea di casting geniale: i personaggi del film che fra di loro sono fratelli sono interpretati da attori che sono realmente fratelli. Dunque, i fratelli Keach interpretano i fratelli James, i fratelli Carradine sono gli Younger, i fratelli Quaid i Miller, e i fratelli Guest i Ford. Le intuizioni brillanti finiscono qui, purtroppo. Vero è che Hill e i suoi quattro co-autori (troppe mani per non rovinare la zuppa) forniscono la versione cinematografica più fedele della parabola dei fuorilegge, e sicuramente tengono presente La banda di Jesse James, il film firmato otto anni prima da Philip Kaufman: Jesse James ha un ruolo di secondo piano. Rimane una figura enigmatica, che James Keach interpreta con un’espressione vagamente allucinata, rendendo incomprensibile il perché Jesse sia considerato il leader della banda. A emergere, invece, è anche in questo caso Cole Younger. David Carradine dà vita a un Cole sornione e disincantato, ma che, a differenza di quello rappresentato da Kaufman, non nutre ambizioni da leader. 

David Carradine nei panni di Cole Younger

Purtroppo, tutto ciò non basta. Per quanto sia apprezzabile la ricostruzione storica, e per quanto sia impeccabile il trattamento dei tòpoi del genere (assalto al treno, duello all’arma bianca, sparatoria finale), la storia ha un andamento episodico che, mettendo in scena a turno i vari personaggi, non rivela un asse portante nel racconto. Non basta, per questo, neanche la presenza di personaggi femminili, unanimemente dalla parte dei fuorilegge, da mamma James alla giovane Beth, che lascia il pavido Ed Miller per Jim Younger. Curiosamente (ed è una contraddizione interessante), i banditi sono alla ricerca di una rispettabilità borghese, per quanto di facciata, con casa e figli.  Va controcorrente il solo Cole Younger, che però rifiuta di accasarsi con Belle Starr (Pamela Reed) "perché - le spiega diplomaticamente - sei una puttana".

Come nel film di Kaufman (e come in effetti avvenne nella realtà) la Legge non fa bella figura. Gli uomini di Pinkerton uccidono prima un giovanissimo Younger estraneo alla banda, e poi muore – anche se accidentalmente – il fratellino quindicenne di Jesse, mentalmente ritardato. 


 Il funerale del piccolo Archie James

Naturalmente, la banda non lascerà queste morti impunite. Al detective Rixley (un efficacissimo James Whitmore jr) non resta che contemplare i cadaveri alternarsi sui tavoli dell’obitorio, fino a quando, rassegnato, riuscirà a togliere di mezzo Jesse James solo convincendo i Ford a tradirlo.

Anche il film di Hill si conclude con l’omaggio dell’uomo comune ai banditi: al passaggio del treno che riporta nel Missouri la salma di Jessie James, un contadino si toglie il cappello. 

A differenza della vitalità debordante e un po’ sciamannata dei banditi di Kaufman, i fuorilegge di Hill mostrano una somiglianza maggiore con i long riders della realtà: uomini duri, introversi, legati da vincoli di sangue più forti di qualunque legge, incapaci di guardare il mondo oltre la canna della pistola. Il regista asciuga fino all’osso la loro rappresentazione filmica, ma la sterilità rappresentata diventa anche sterilità narrativa. Non c’è pietas per queste vite bruciate, e nemmeno un’indignazione “politica” per lo stupro del Sud da parte degli yankees vittoriosi, ma solo la contemplazione impassibile di una fine programmata.

Northfield, Minnesota. L'ultimo colpo del sodalizio James-Younger.

Insomma, al di là di un paio di scene efficaci (la sparatoria finale è da manuale di cinema), c’è poco di cui appassionarsi e per cui palpitare.

Non c’è morale in questa storia, se non quella che James Keach canta nella canzone Wildwood Boys (presente nella colonna sonora su disco, ma non nel film): only the strong will survive/ survival is living the longest/ but nobody gets out alive”.

 

Qui il link a Wildwood Boys (ma tutta la fantastica colonna sonora di Ry Cooder merita l’ascolto).
 
 
PS: il titolo italiano del film si inventa delle “lunghe ombre” assenti dal titolo originale. I long riders erano i fuorilegge, così chiamati per i lunghi spostamenti dovuti alla loro condizione di fuggiaschi perenni.