venerdì 5 dicembre 2025

I MIEI LIBRI - 2025

IL DESERTO DEI TARTARI (2024) 

Adattamento a fumetti dell'omonimo libro di Dino Buzzati, che non credo abbia bisogno di presentazioni. Uno dei lavori più difficili da me realizzati (e credo che Pasquale Frisenda possa dire altrettanto), ha richiesto anni di gestazione, ma ha avuto un ottimo riscontro sia tra i lettori del romanzo che tra gli appassionati di fumetti. Presentato al Salone del Libro di Torino nel 2024, è stato ristampato quest'anno. Info per i collezionisti: l'unica differenza le sole differenze tra le due versioni consiste  consistono nella raffigurazione della mappa della fortezza nei risguardi della copertina e nel colore del dorso e della quarta di copertina. Color sabbia per la prima edizione (non più disponibile presso l'editore), celeste per la seconda. Il volume ha vinto due premi ANAFI, per la miglior pubblicazione a fumetti da libreria e per il miglior disegno. 

 

 

NATHAN NEVER - TERRE LONTANE (2023)

Il volume contiene la ristampa di quattro avventure del nostro agente Alfa ambientate in luoghi remoti, lontano dalla metropoli.

Le belve è una storia molto dura, forse una delle più dure mai pubblicate sulla serie, ed è strutturata come un legal thriller: Nathan Never indaga su un crimine di guerra, una strage di civili compiuta da un plotone di soldati della Federazione nel territorio del Margine.

Le voci della città è un’avventura particolare. Nasce in uno scenario familiare ai lettori della serie (il Dirty Boulevard visto nel n.32), ma è composta da tre storie che, a dispetto del titolo, non si svolgono nella metropoli, e che non vedono Nathan protagonista. Una di queste storie non è completamente mia, perché è l’adattamento in chiave “futuribile” di un famoso racconto di Jack London, intitolato In un paese lontano.

Flashpoint è una delle storie a cui sono più affezionato. Indagando su una serie di attentati incendiari, Nathan si trova a rievocare alcuni fatti drammatici della sua infanzia nella valle di Gadalas. Una storia di quelle definite coming of age, a metà strada tra un classico-classico come Tom Sawyer e un classico moderno come Stand by Me.

Operazione Terra Mater chiude questa selezione di storie inusuali, invece, con un’avventura che rimette in scena dopo anni un personaggio fondamentale per la saga di Nathan, e a me molto caro: la procuratrice distrettuale Sara McBain. Una perfetta “chiusura del cerchio” per questo volume, dato che anche questa avventura si svolge nel Margine, così come Le belve.

I disegnatori di questo volume sono, nell’ordine, Stefano Casini, Onofrio Catacchio & Andrea Bormida, Guido Masala e Roberto De Angelis. 

 


NATHAN NEVER - DOPO L'APOCALISSE (2020)

Contiene la ristampa di quattro storie magnificamente illustrate da Giancarlo Olivares. La prima è una lunga avventura composta di tre episodi, 282 pagine in tutto. Racconta un momento particolare della storia di Nathan Never, un nuovo inizio dopo la sconvolgente avventura raccontata nei cinque episodi precedenti, e che aveva avuto un finale, appunto, apocalittico. Proprio per questo, nonostante la storia fosse molto drammatica e dovesse culminare con un addio, mi impuntai per scrivere un finale in qualche modo “positivo”, che lasciasse un buon sapore in bocca al lettore. Una curiosità: il vero addio in questa storia non è nel finale, ma prima. È l’addio definitivo a un personaggio “minore”, ma in qualche modo fondamentale, nella saga di Nathan Never. Per questo gli ho voluto regalare una uscita di scena solenne, che Olivares ha rappresentato con una tale efficacia da farmi provare una punta di rammarico per la mia scelta. La quarta storia del volume (Vittime e carnefici) non è scritta da me, ma da Riccardo Secchi, perfettamente a suo agio in quel mix di thriller e mood malinconico che è uno dei marchi di fabbrica della nostra serie.

 

 NATHAN NEVER - SEGNALI DALLO SPAZIO (2018)

Questo volume contiene la ristampa di quattro storie disegnate da Roberto De Angelis. 

Infiniti universi

Una storia celebrativa, pubblicata in occasione dei dieci anni di vita del personaggio, e basata sull’idea degli universi paralleli. Anche se non è affatto una storia ironica (al contrario, è piuttosto malinconica), è tutto sommato un modo complice di festeggiare il decennale della testata, strizzando l’occhio ai lettori affezionati. C’è il Nathan Never del presente (il presente di allora, 2001), il Nathan Never del passato, e un Nathan Never come sarebbe potuto essere. 

Segnali dallo spazio

L'inafferrabile - La torre dell'orologio 

Queste due storie trattano di alieni. Le avevo scritte sforzandomi, in qualche modo, di uscire da quel filone di detection che è la caratteristica del “mio” Nathan Never. Ma non amo quel tipo di fantascienza, e non considero queste due storie significative del mio modo di scrivere. Per fortuna Roberto De Angelis le ha disegnate in maniera spettacolare, in particolare quella intitolata Segnali dallo spazio. Perciò, probabilmente questo volume è più rappresentativo del suo talento che del mio.  

Anche se Caravan è una di quelle che chiamiamo “mini-serie” (uscì in edicola in 12 albi pubblicati a cavallo tra il 2009 e il 2010, per un totale di 1.128 pagine), è il lavoro a cui sono più legato. Una specie di autobiografia immaginaria, se vogliamo. È una serie diversa dai canoni che ormai chiamiamo familiarmente “bonelliani”, e in effetti ha intercettato una fascia di lettori diversa dal solito, che non segue abitualmente le nostre serie. Sono molto soddisfatto di questa edizione da libreria, che è riveduta e corretta rispetto alla pubblicazione mensile e ripropone tutte le copertine degli albi originali e alcuni schizzi inediti. E non solo: la prefazione sotto forma racconto, inedita, è a tutti gli effetti un “micro-sequel” della serie. Il mio unico rammarico è il formato non proprio agilissimo, due volumoni di circa seicento pagine ciascuno. Avrei preferito un’uscita distribuita in tre volumi di quattro episodi, ma mi dicono che questo formato “malloppo” è comunque gradito dai lettori. Non mi dilungo oltre, perché di Caravan ho già parlato ampiamente in questo blog, qui, e ovviamente nel blog dedicato alla serie, all’epoca. 
 
 
 
 
 
Questo volume è diverso dalle altre ristampe: ha la copertina cartonata ed è formato più grande (20 x 26,5 cm). Contiene la ristampa di un’avventura in due parti, uscita tra il 1992 e il 1993, a un anno e mezzo di distanza dall’inizio della serie. Ed è una storia fondamentale per il nostro personaggio. Vi si racconta infatti il suo passato e soprattutto quello che i manuali di sceneggiatura chiamano il fatal flaw, il difetto fatale che ha segnato la vita dell’eroe. Fin dall’inizio avevamo scelto di non calare subito tutte le carte e di svelare il passato di Nathan Never un po’ per volta. Cominciammo a farlo con questa storia, che per fortuna fu apprezzatissima dai lettori. Anche perché, per la prima volta nella storia della casa editrice, un protagonista dimostrava tutta la fragilità dell’uomo sotto la corazza dell’eroe. Illustrata da Nicola Mari, con un bianco e nero reso con maestria sorprendente per un autore così giovane, la storia è tuttora ricordata con affetto dai lettori "storici". E, per chi non avesse mai letto Nathan Never, potrebbe essere una buona introduzione al personaggio.  

 

martedì 2 dicembre 2025

SFIDA ALL'O.K. CORRAL

 

Per chi non l’avesse ancora capito, Sfida a Coffin Rock, l’albo n. 414 di Nathan Never, non è ispirato a Per un pugno di dollari, né a Tombstone, né a un film in particolare (c’è solo una scena ricalcata esplicitamente sulla scena di un film western, che non rientra nel filone dei film suddetti). Si ispira invece al fatto storico raccontato (più o meno liberamente) da quei film e da altri ancora: cioè la famosa sparatoria all’O.K. Corral avvenuta a Tombstone, Arizona, il 26 ottobre del 1881 (alle due e mezza del pomeriggio, se vi interessa saperlo). Trenta secondi di fuoco che passarono alla Storia, ma soprattutto al Mito, entrando nel nostro immaginario per restarci.

Detto molto in sintesi, perché la vicenda che portò alla sparatoria è lunga, intricata ed ebbe sanguinosi strascichi anche molto tempo dopo, si trattò di un regolamento di conti tra due clan rivali: quello degli Earp, composto dai fratelli Wyatt, Virgil e Morgan, più “Doc” Holliday, e quello dei Clanton. Quest’ultimo comprendeva i fratelli Ike e Billy Clanton, Frank e Tom McLaury e Billy Claybourne, più un paio di altri tipacci che non parteciparono alla sparatoria, Johnny Ringo e Curly Bill Brocius.

Gli Earp, per quanto non fossero stinchi di santo, erano ufficialmente dalla parte della Legge: a Tombstone Virgil Earp aveva il ruolo di town marshal (sceriffo cittadino). I Clanton invece erano cowboys, ufficialmente mandriani, ma in realtà ladri di cavalli. Erano però amici del County Sheriff (sceriffo della contea), Johnny Behan, che non era uno stinco di santo neanche lui, e pensavano di poter spadroneggiare in città. Il casus belli fra i due clan fu l’arresto, da parte di Virgil Earp, di due rapinatori amici dei Clanton. Dopo un violento diverbio tra Ike Clanton e “Doc” Holliday, entrambe le fazioni decisero di chiudere i conti, e il giorno dopo si affrontarono all’O.K. Corral. L’esatto svolgimento dei fatti non si saprà mai. Quello che è certo è che dopo mezzo minuto di fuoco solo Wyatt era illeso. Virgil, Morgan e Holliday erano ancora in piedi, benché feriti. I fratelli McLaury e Bill Clanton giacevano nella polvere. Ike Clanton era scappato, così come Billy Claybourne, ferito. La sfida all’O.K. Corral era finita, e cominciava la leggenda. 

Ora, tornando a Nathan Never: pensavo di essere il primo a trasportare l’O.K. Corral in un contesto fantascientifico, ma, come dice la Legge di Serra sull’Idea: “Se ti sembra originale, l’ha avuta un altro prima di te. Se ti sembra geniale, l’hanno avuta in dieci.”. E così è bastata una breve ricerca (ovviamente a storia conclusa) per scoprire che il Serra non sbagliava.

Nel 1881 l’alieno Macklin precipita sulla Terra, più esattamente a Tombstone. Purtroppo ha perso la memoria, non ricorda chi è, né che sono stati i feroci Kra’agh ad attaccare la sua astronave. La sua compagna Doris lo raggiunge e gli ricorda chi è, ma intanto due Kra’agh si sono uniti alla banda Clanton... e si scontreranno anche loro con gli Earp all’O.K. Corral. 

Questa è la trama di Pianeta di Frontiera (Frontier Earth, 1999), il cui autore è un trait-d’union vivente tra western e SF. Bruce Boxleitner è noto anche da noi per il suo ruolo, quello del giovane Luke Macahan, nella celeberrima serie TV Alla conquista del West (1976-1979). Ma è stato anche il comandante Sheridan nella serie SF Babylon 5 (1994-1998). Nel 2001 ha dato un seguito a Pianeta di Frontiera con il romanzo Searcher.

E gli incroci con la fantascienza non finiscono qui, perché nel 2010 gli Earp e i Clanton riappaiono in versione steampunk nel romanzo di Mike Resnick The Buntline Special. Qui Thomas Alva Edison è incaricato dal governo di combattere la magia Apache con la tecnologia, e gli Earp devono proteggerlo con l’aiuto dello scrittore-inventore Ned Buntline. I Clanton, da parte loro, hanno un alleato particolare: il pistolero Johnny Ringo, tornato dalla morte e assetato di vendetta contro gli Earp... 

 

Niente di cui meravigliarsi, in fondo. Già Star Trek aveva preso spunto dalla sfida all’O.K. Corral per il sesto episodio della terza stagione: Lo spettro di una pistola. In questa storia Kirk, Scott, McCoy e Chekov sono trasportati dai Melkotiani in una Tombstone ricreata, dove devono affrontare gli Earp nei panni dei Clanton.

 


Paradossalmente, a dare ancora più spazio alla famosa sfida entrata nella mitologia degli USA è una serie di SF inglese: Doctor Who. Nella terza stagione (inedita in Italia) lo scontro tra Earp e Clanton coinvolge il Dottore (William Hartnell) per ben quattro episodi. Tutto comincia quando il Tardis (la macchina del tempo) deposita il Dottore a Tombstone, e questi è in preda a un fortissimo mal di denti. Non gli resta che cercare un dentista, e un destino bizzarro lo fa incappare in “Doc” Holliday, mentre Wyatt Earp offre protezione ai suoi compagni d’avventura, Steven e Dodo. Inutile dire che si innesca un meccanismo di equivoci che porterà il Dottore e i suoi amici a prendere parte alla famosa sparatoria.

Per quanto riguarda i fumetti, gli Earp e i Clanton compaiono anche nella saga del tenente Blueberry, per l’esattezza nel ciclo Mister Blueberry (1995) scritto e disegnato da Jean Giraud. Impossibile, poi, non citare la biografia a fumetti Wyatt Earp (1974) realizzata da Rino Albertarelli per la collana I protagonisti, edita dalla Daim Press (la futura Sergio Bonelli Editore). Si trattava di una serie di biografie sui protagonisti del West, caratterizzate da un grande rigore storico. A proposito del volume su Earp, scrive Ned Bajalica: "spazza via tutte le favolette che hanno fatto di Earp un eroe (...) e lo dipinge come un uomo frustrato, fallito, uno squallido giocatore d'azzardo, violento e senza scrupoli, che riduce la moglie in fin di vita, oltre che a un vigliacco, un bugiardo e un assassino che si nasconde dietro la stella che indossa (...) ma soprattutto racconta la vera storia della sfida all'O.K. Corral, di certo molto diversa da come l'abbiamo appresa (...)" 

Insomma, Earp non fu affatto l'eroe integerrimo che nel capolavoro di John Ford Sfida infernale (My Darling Clementine, 1946) sfoggia il volto rassicurante di Henry Fonda. E allora perché abbiamo imparato a conoscerlo come tale? Perché la sua fama fu cementata, a due anni dalla sua morte, dalla biografia Wyatt Earp, Frontier Marshal (1931), scritta da Stuart N. Lake. Earp aveva comunque contribuito alla stesura del libro che, per dirla gentilmente, fu tutt'altro che obiettivo e veritiero. Ma dopotutto, così andavano le cose. Il dialogo finale di un altro capolavoro di Ford, L'uomo che uccise Liberty Valance, spiega tutto. Il senatore Stoddard (James Stewart) ha appena raccontato al reporter Scott chi uccise davvero il bandito Valance, e gli chiede: "Come, non pubblicherete questa storia, signor Scott?". Questa è la risposta: "No, senatore. Qui siamo nel West... dove, se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda." 

Uno degli adattamenti più famosi della sfida all'O.K. Corral è quello dell'omonimo film di John Sturges. Forse meno bello del film di Ford, è quello con la colonna sonora più suggestiva, con la canzone scritta dal grande Dimitri Tiomkin e cantata da Francesco Paolo LoVecchio, in arte Frankie Laine. 



 

 

 


domenica 23 novembre 2025

GRISSOM GANG

America, anni Trenta: la giovanissima ereditiera Barbara Blandish, sequestrata da una gang di maldestri rapinatori, finisce dalla padella nella brace quando cade nelle mani della spietata banda Grissom, che uccide i suoi sequestratori e la rapisce a sua volta. A capo della banda c’è la spietata Ma Grissom che, d’accordo con suo figlio Eddie e gli altri complici, intende uccidere Barbara appena ritirato il riscatto. Ma alla donna si oppone l’altro figlio, Slim, mentalmente ritardato, che si è invaghito della ragazza e la vuole tutta per sé. Barbara capisce ben presto che l’unico modo per restare in vita è cedere alle avances di Slim. E intanto il detective Fenner, assoldato da Blandish senior solo per consegnare il riscatto, si mette di testa sua sulle tracce dei rapitori...

Tratto dal romanzo Niente orchidee per Miss Blandish (1939), opera prima dello scrittore inglese James Hadley Chase, Grissom Gang (1971), riprende il filone dei rapinatori “rurali” anni Trenta come Il clan dei Barker (1969) di Roger Corman e soprattutto Bonnie & Clyde (1967) di Arthur Penn. Ma rispetto all’antecedente “nobile” di Penn, il regista Robert Aldrich innerva il genere con una carica di violenza quasi da film horror, accentuata dall’ambientazione claustrofobica della prima parte del film. I Grissom non sprigionano alcun glamour: sono criminali sordidi, ripugnanti, accecati dal miraggio della ricchezza. E per raggiungerla non intendono rinunciare a niente, nemmeno all’idea di sopprimere la giovane prigioniera. Così danno il via a una catena di ammazzamenti che si snoda per tutto l’arco del film, fino a un inevitabile, sanguinoso epilogo. Giunti al quale, anche i probi cittadini che hanno denunciato il bandito superstite reclameranno la loro fetta di torta, cioè la taglia posta da Blandish padre sui rapitori della figlia. 

 

Grissom Gang è un film che, come tanti degli anni Settanta, affetta a strisce sottili il sogno americano, denudandone il nocciolo: il denaro. Al principio, non è Barbara l’obiettivo dei criminali: è la sua preziosa collana. Solo quando il suo fidanzato prova a resistere i rapinatori diventano assassini e quindi sequestratori, salvo poi soccombere al clan dei feroci Grissom, che vedono nella ragazza l’occasione del colpo grosso: un milione di dollari. Il denaro - o almeno l’illusione della ricchezza - è il leit motiv del racconto, prima miraggio, poi obiettivo raggiunto, e infine condanna di chi ha ceduto alle sue lusinghe, come in un faustiano patto col diavolo. E il Kansas teatro della vicenda, splendidamente fotografato da Joseph Biroc, abituale collaboratore di Aldrich, ha in effetti un che di girone infernale: guardie e ladri oppressi dall'afa stillano sudore in ogni scena.

 

In questo mondo di lupi Barbara Grissom è l’agnello sacrificale, che ha come sola prospettiva di salvezza l’alleanza col lupo più feroce di tutti, Slim. Il quale, benché affetto da un ritardo mentale e a dispetto della sua totale amoralità, è l’unico del branco a provare qualcosa di simile a un sentimento. Barbara è una ragazza viziata, e cerca - presuntuosamente, nella sicurezza conferitale dal proprio status sociale - di manipolare il suo carceriere. Eppure alla fine arriverà a comprendere la sua disarmante naiveté e lo ricambierà in maniera inaspettatamente sincera. Ma pagherà caro il suo gesto, con il ripudio da parte del padre e, verosimilmente, della classe sociale a cui appartiene.

 

 

“Aldrich non è un regista che guarda alla realtà con gli occhiali rosa”, disse, e con ragione, un noto critico. In Grissom Gang - scritto dallo sceneggiatore Leon Griffiths - sembra non esserci possibilità di redenzione per nessuno. Eppure il finale, a differenza del libro, rovescia le carte e mostra una inaspettata pietas verso il mostro di turno, il ritardato Slim Grissom interpretato da uno Scott Wilson in stato di grazia. E spiace che la critica non abbia apprezzato l’interpretazione di Kim Darby, qui efficace in un ruolo molto più difficile di quello interpretato ne Il Grinta a fianco di John Wayne. All'epoca la giovane attrice si era fatta notare in Fragole e sangue e nel musical Noi due a Manhattan, ma dopo Grissom Gang per lei ci furono per lo più anonimi ruoli televisivi. 

 

D'altronde, Aldrich fu un eccellente direttore di attori, e in Grissom Gang tutto il cast funziona perfettamente: Irene Dailey è una spietata mater familias, Tony Musante dà vita al cinico e spregevole Eddie, e Connie Stevens ad Anna, l’amante di Eddie, ennesima vittima del miraggio della ricchezza. Nei panni del padre di Barbara c’è il veterano Wesley Addy, alla sua ultima apparizione (la settima!) in un film di Aldrich.

In Italia Grissom Gang si è visto spesso sui canali Rai per almeno un paio di decenni. Purtroppo oggi il DVD è reperibile solo all’usato, e non a prezzi economici, e al momento il film non è disponibile sulle piattaforme. In compenso è presente su You Tube in versione originale, con sottotitoli generati automaticamente.


 Qui il trailer originale. 

 


martedì 28 gennaio 2025

A COMPLETE UNKNOWN

 A complete unknown (2024), di James Mangold

Prima di tutto, questo post richiede una premessa. Anzi, due.

Premessa 1: le canzoni di Bob Dylan sono parte della mia vita. Una parte importante, se non fondamentale, alla pari dei fumetti che ho letto e che mi hanno poi spinto a farli, i fumetti. E poco è mancato che Nathan Never non avesse l’aspetto di Bob Dylan, come raccontato qui: https://youtu.be/jTiVLdQY0lI?t=754

Premessa 2: non sopporto Thimotée Chalamet. Non mi piace, non gli riconosco nessun carisma, non mi trasmette niente.

E quindi, può essermi piaciuto A complete unknown, dove un attore che non mi dice nulla interpreta un musicista che mi ha detto così tanto? The answer, my friend...

Diciamo subito che c’è poco da discutere sulle qualità tecniche del film. Una ricostruzione così meticolosa e credibile degli anni Sessanta non la si vedeva, forse, dai tempi di Forrest Gump. E le interpretazioni di contorno sono semplicemente inappuntabili. Per essere composto da attori poco conosciuti (almeno da noi), il cast è di livello. Svetta, come molti hanno rimarcato, Edward Norton nei panni di Pete Seeger (affiancato peraltro da una brava Eriko Hatsune nel ruolo della moglie Toshi). Ma efficacissimo – anche per somiglianza fisica – è Dan Fogler nei panni del manager di Dylan, Albert Grossman, senza dimenticare Boyd Holbrook come Johnny Cash, e Norbert Leo Butz nella parte del sanguigno musicologo Alan Lomax. 

 
Edward Norton nella parte di Pete Seeger

Che cosa non gira a dovere, allora, soprattutto nella prima parte? Molto semplice: il film non emoziona, non “morde”. Prima di tutto perché semplifica un po’ troppo la figura del protagonista. Intendo non in termini di verità storica, ma proprio di narrazione. Se non sapessimo che quel Bobby arrivato in città, come dice lui stesso (mentendo) dal New Jersey è destinato a diventare un’icona del ventesimo secolo, lo troveremmo interessante? Ogni persona che incontra casca subito ai suoi piedi. Prima di tutti il suo idolo Woody Guthrie, che gli passa idealmente il testimone di portabandiera del folk regalandogli un’armonica; poi il grande Pete Seeger, poi la cantante giovane-ma-già-famosa, poi la coltissima studentessa di origini italiane. 

Sì, certo, Dylan era già magnetico, ma non solo perché scriveva quelle canzoni. Il fatto è che non era poi così ombroso. Aveva anche senso dell’umorismo, sapeva essere simpatico, e a momenti – ce ne sono parecchie testimonianze, soprattutto nella biografia di Anthony Scaduto – faceva addirittura tenerezza. Ma c’era anche, e forse soprattutto, una sfrenata, bruciante ambizione che lo portava a calcolare strategicamente ogni passo verso una fama stellare. Poi, certo sarebbero venuti gli sbalzi d’umore, i capricci da divo, e una certa “disempatia”, alimentata probabilmente da lunghe notti insonni passate a scrivere, col supporto di alcol e pasticche.

Il Greenwich Village degli anni '60 ricostruito nel film

Peccato che di tutto ciò non ci sia traccia, in una caratterizzazione che mostra un giovane Zimmerman sornione (Chalamet sembra sempre sul punto di cadere addormentato), mai realmente eccessivo, e soprattutto mai veramente in difficoltà. Di antipatie, rivalità, problemi coi discografici non c’è alcun cenno.

Insomma, un ragazzotto che è già His Bobness. Tutto fila liscio, a parte la difficoltà – difficoltà per chiunque di noi, ma non per lui – di destreggiarsi tra due fidanzate. E così il racconto arranca, soprattutto nella prima parte, con rari sussulti (comunque molto bella la scena della crisi cubana, in cui si ha la sensazione che la guerra con l’URSS sia a un passo).

Le palpebre si risollevano nella seconda parte, col Dylan già divo, già “elettrico”, e non solo musicalmente. Qui l’abbondanza di materiale di repertorio consente a Chalamet di avere più punti di riferimento, e di vestire i panni di Dylan in maniera così camaleontica che sembra di trovarsi davanti a una versione a colori di Dont Look Back. E qui sta forse il cuore del problema: tutto questo “realismo” era davvero necessario?

Monica Barbaro/Joan Baez al festival folk di Newport

La preparazione di Chalamet e di Monica Barbaro/Joan Baez per cantare e suonare è durata cinque anni, e i risultati si vedono. Premesso che nessuno può cantare come Dylan e Joan Baez, chi li ama non può non apprezzare il lavoro dei due attori (e dei loro coach musicali). Ma era indispensabile una mimesi così totale, al punto che c’è chi ha detto “tanto vale guardarsi Dont Look Back o No Direction Home”? Era indispensabile che Chalamet riprendesse alla lettera il modo di parlare/farfugliare di Dylan, al punto da rendere indispensabili i sottotitoli per capire quello che dice?

L’impressione è che tanta ansia mimetica da parte degli autori (il regista James Mangold e il suo co-sceneggiatore Jay Cocks) sia andata a discapito del racconto. E a farne le spese è soprattutto il ritratto di Suze Rotolo, ribattezzata nel film – dietro insistenza dello stesso Dylan - “Sylvie Russo”. Un po’ avvilente per lei, immortalata (meritatamente!) su una delle copertine più famose della Storia del rock. Lei che aveva fatto conoscere al giovane Bobby i simbolisti francesi, senza i quali difficilmente avremmo avuto, giusto per fare un titolo, A hard rain’s a-gonna fall

Suze è con Bob sulla copertina di un album leggendario

Così la povera Suze/Sylvie rimane confinata nella parte della povera fidanzatina che cede il passo alla star del folk Joan. Se non altro, a questo ruolo decisamente underwritten, poco approfondito, una brava Elle Fanning riesce comunque a dare corpo e sentimento. Comunque troppo poco, a mio avviso, per dare calore al film. Un film che alla fine, a differenza del suo protagonista, non azzarda, non osa, e rimane prigioniero dell’ortodossia del biopic come Pete Seeger dell’ortodossia folk. Ma d’altronde...

 Ah, my friends from the prison, they ask unto me

"How good, how good does it feel to be free?" 
And I answer them most mysteriously 
"Are birds free from the chains of the skyway?"
 
“Sono forse liberi gli uccelli dalle catene del cielo?”
 
(Ballad in Plain D, 1964)
 

Per approfondire:

su Pete Seeger: https://archivio.giornalettismo.com/pete-seeger-morto-pete-seeger/

su Suze Rotolo: https://www.marieclaire.it/attualita/gossip/a63428286/bob-dylan-suze-rotolo-storia-film/

https://www.indie-eye.it/recensore/letture/libri/sulla-strada-di-bob-dylan-memorie-dal-greenwich-village-di-suze-rotolo-la-recensione.html

Diamonds and Rust, la canzone di Joan Baez dedicata a Bob Dylan: https://www.youtube.com/watch?v=1ST9TZBb9v8

No Direction Home (2005), il documentario di Martin Scorsese su Bob Dylan è (per ora) visibile qui:

https://archive.org/details/no-direction-home-bob-dylan-2005-pt-2/No+Direction+Home+-+Bob+Dylan+(2005)+-+pt1.avi