Questo articolo è inedito, ma non nuovo. E' l'ultimo articolo che scrissi per il vecchio sito, e che poi, avendo deciso di chiudere il sito, rinunciai a pubblicare. Prende lo spunto da un acuto e divertente articolo del cartoonist Tom Pappalardo, uscito qualche anno fa. Pappalardo mostra come il progresso della tecnologia abbia portato alla miniaturizzazione della stessa... e abbia reso i fumetti molto meno spettacolari.
1967: la rappresentazione del computer nella fantascienza è Hal 9000 in 2001 Odissea nello Spazio. Ancora negli anni sessanta i calcolatori elettronici occupavano una stanza intera. Quale poteva essere lo sviluppo “futuribile” di questa idea? Quello mostrato da Kubrick: che i calcolatori occupassero uno spazio grande come una cattedrale. E invece, come sappiamo, nel mondo reale le cose sono andate in senso opposto. Oggi il computer è un rettangolo delle dimensioni di un quaderno, che tenete agevolmente in mano. Qual è lo sviluppo “futuribile” della situazione attuale? I chip sottopelle. L’invisibilizzazione della tecnologia. Quindi, la fine della fantascienza (almeno nel suo aspetto grafico).
Non a caso, attualmente, l’unico filone fantascientifico che offra al fumetto possibilità di invenzione visiva è lo steampunk. Nel campo della fantascienza “realistica” i videogiochi – costretti a tenere il passo con le innovazioni tecnologiche reali - hanno già fatto vedere di tutto. Mentre la tecnologia ottocentesca, “pesante” e barocca, riempie l’occhio e risulta ancora appagante in termini di spettacolarità. Sarà un caso, ma una delle ultime serie a fumetti di successo da noi è stata Greystorm.
Ma Steve Jobs non solo ha rovinato la fantascienza. Ha rovinato anche la rappresentazione del nostro quotidiano.
giovedì 6 agosto 2015
sabato 1 agosto 2015
I GENI, I MAESTRI E TUTTI GLI ALTRI (agosto 2012)
Una riflessione estiva di qualche anno fa. E anche un'occasione per ricordare due grandi artisti. Diversissimi fra loro, ma diventati una parte importante della nostra cultura.
L'estate favorisce discussioni un po’ oziose sui massimi sistemi. Del tipo: qual è la molla che spinge in avanti la creatività?
Com’è che si arriva a creare per un pubblico? Cos’è che ti fa mettere mano a una tastiera (un tempo era una penna), a uno strumento musicale, a una macchina da presa, pensando che hai qualcosa da dire al mondo, e che sei in grado di comunicarla?
Molti anni fa, quando ero solo un ragazzino che sognava di scrivere, mi capitò di vedere in televisione un’intervista a Fabrizio De André. Il cantautore genovese parlava del suo album Storia di un impiegato, e raccontava di averne regalato una copia autografata al poeta Gregory Corso. De André disse che reputava Corso (scomparso nel 2010) un maestro. E da qui partì con una digressione sull’Arte che non ho mai più dimenticato.
Com’è che si arriva a creare per un pubblico? Cos’è che ti fa mettere mano a una tastiera (un tempo era una penna), a uno strumento musicale, a una macchina da presa, pensando che hai qualcosa da dire al mondo, e che sei in grado di comunicarla?
Molti anni fa, quando ero solo un ragazzino che sognava di scrivere, mi capitò di vedere in televisione un’intervista a Fabrizio De André. Il cantautore genovese parlava del suo album Storia di un impiegato, e raccontava di averne regalato una copia autografata al poeta Gregory Corso. De André disse che reputava Corso (scomparso nel 2010) un maestro. E da qui partì con una digressione sull’Arte che non ho mai più dimenticato.
Iscriviti a:
Post (Atom)