"Il futuro dell'avventura - l'avventura del futuro!" Con questa locandina, nel mese di giugno 1991, le edicole pubblicizzavano l’uscita di una nuova serie a fumetti, Nathan Never.
Ricordo perfettamente il momento. Camminavo per le strade di Cagliari, quando passando davanti a un’edicola buttai l’occhio sui fumetti esposti. E lo vidi. Agente Speciale Alfa. Il numero 1 di Nathan Never era lì sullo scaffale, tra Martin Mystère, Dylan Dog e tutti gli altri. E ricordo perfettamente anche ciò che provai: un tuffo al cuore e, un attimo dopo, un’ansia tremenda. Non era più un sogno che si agitava dentro le nostre teste, non era più la proiezione mentale di un futuro possibile. Adesso il campionato era cominciato, giocavamo in serie A, e l’arbitro aveva appena fischiato il calcio d’inizio.
Antonio Serra e io non avevamo ancora trent’anni, e Bepi Vigna appena qualcuno di più. Quando il progetto di Nathan Never fu approvato, il nostro trio lavorava per la casa editrice da pochi anni. Avevamo realizzato appena una manciata di sceneggiature per Dylan Dog, Martin Mystère e Nick Raider. A distanza di tanto tempo, mi chiedo perché Sergio Bonelli ci diede fiducia e ci permise di realizzare una serie tutta nostra. Gli eravamo simpatici? Gli facevamo tenerezza e voleva darci una chance come un buon papà? Oppure, col suo collaudato fiuto di editore, aveva capito che avevamo in mano le carte buone per una serie di successo?
Non ebbi mai il coraggio di chiederglielo, e oggi un po’ lo rimpiango. E poi, tutto sommato, mi rendo conto che il successo di Nathan fu anche il frutto di una irripetibile congiunzione astrale. Arrivammo al momento giusto: il successo di Dylan Dog era ormai conclamato e contribuiva a rendere cool il medium fumetto, portandolo sotto i riflettori dei mass media. E contemporaneamente si affacciava alla ribalta professionale una nuova generazione di disegnatori, che interpretavano la lezione del fumetto italiano classico con un dinamismo “americano”. Noi avevamo dalla nostra l’entusiasmo della gioventù e, lasciatemelo dire, la capacità per sfruttarlo al meglio. Non stavamo cercando di rivoluzionare il fumetto mondiale. Semplicemente, volevamo fare una cosa che ci piaceva. E ci riuscimmo, ripagando la fiducia dell’editore.
Il successo di Nathan Never è stato decisamente popolare, in ogni senso. La nostra serie non è mai stata una serie coccolata dalla critica, non ha vinto una ricca messe di riconoscimenti alle varie manifestazioni fumettistiche, ma è stata premiata dall’affetto di un pubblico entusiasta e, per molti anni, numerosissimo.
Certo, in quel fatidico giugno 1991, eravamo ben lontani da immaginare tutto questo. Il futuro – quello di Nathan e il nostro - era ancora tutto da scrivere.
Oggi molti lettori ricordano ancora
certe storie di Nathan Never legate a un particolare momento della
loro vita: la prima ragazza, le vacanze al mare, un trasloco, e poi
la nascita del primo figlio, perché dobbiamo imparare a “essere
padri prima che vendicatori”. Nathan è stato un compagno di
viaggio per loro come per noi, e da scrittore non posso pretendere
una gratificazione migliore.
Non saprei cos’altro aggiungere. Anche se trent’anni sono un bel pezzo di vita, e di cose da dire ce ne sarebbero tante. Ma, come dicevano nel film di un altro trio, “Non ce la faccio... troppi ricordi”.
Ci vediamo in edicola col numero 361 di
Nathan Never, L’ultimo volo, sceneggiato dal sottoscritto e
magnificamente illustrato da Simona Denna. Copertina di Sergio Giardo.
Bob Dylan, Series of Dreams
Paul Simon, Call Me Al
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