Non ci fu niente di propriamente avventuroso nella vita di Dorothy Marjorie Johnson. Nacque nell’Iowa nel 1905, e quando era bambina la sua famiglia si trasferì a Whitefish, Montana. La morte di mister Johnson lasciò in difficoltà moglie e figlia – il Montana del primo Novecento non era certo un posto propizio per l’emancipazione femminile - ma la madre di Dorothy non si perse d’animo. Collezionò diversi lavori: giornalista, assistente del direttore dell’Ufficio Acquedotto di Whitefish, tesoriere comunale, e perfino allevatrice di polli. La giovanissima Dorothy aiutava sua madre e metteva da parte i soldi per il college, lavorando anche come centralinista part-time. Riuscì quindi a studiare e laurearsi in Letteratura Inglese alla Montana State University di Missoula. Lasciato il Montana per New York, lavorò nella Grande Mela come editor per molti anni, e quindi fece ritorno nella città dov’era cresciuta. Anche là lavorò come editor, per poi trasferirsi a Missoula. Qui si sposò, ma il matrimonio durò poco: lui era un giocatore d’azzardo, e per qualche tempo gran parte dei guadagni di Dorothy andò a coprire i debiti del marito. Dopo la separazione, Dorothy giurò di non sposarsi mai più. Ma non rimase al verde: fin da dopo la laurea aveva cominciato a scrivere, e da allora non si era più fermata. Alla sua morte, nel 1983, aveva firmato diciassette romanzi, una quantità imprecisata di articoli e una cinquantina di racconti western, di cui tre erano diventati celeberrimi film: L’albero degli impiccati (1959), diretto da Delmer Daves, L’uomo che uccise Liberty Valance (1961), diretto da John Ford, e Un uomo chiamato cavallo (1970), diretto da Elliott Silverstein.
Dorothy M. Johnson fu una delle poche donne a scrivere western, e senza dubbio fu quella che diede al genere il contributo più importante. Scelse di mettere in scena la vulnerabilità dei personaggi virili con cui tradizionalmente identifichiamo il western, e quella scelta la spiegò così: “Io credo che le persone che popolarono l’Ovest fossero molto diverse fra di loro. Qualcuno scrisse in una poesia che i codardi non cominciarono nemmeno il cammino, e i deboli caddero lungo la strada. Significa che non tutti coloro che scelsero l’Ovest erano nobili d’animo, audaci e coraggiosi. Alcuni di loro erano canaglie fatte e finite. Ma erano gente tosta, e a me piace la gente tosta.”
Quella “gente tosta” è raccontata dalla Johnson nelle più intime sfumature, descritte con una prosa raffinata, assai diversa da quella cruda ed essenziale dei pulp-magazine. Il successo non era scontato, ma arrivò. Era scontato, invece, che le storie fossero rielaborate secondo i canoni hollywoodiani nel passaggio dalla pagina scritta al film. Nulla doveva intaccare il carisma dei famosissimi interpreti. Ma questo non impedì che gli adattamenti cinematografici facessero onore alle opere della scrittrice.
Per quanto affrontasse il genere “virile” per eccellenza, la Johnson non si dimenticò delle donne, spesso al centro della scena alla pari degli uomini. La protagonista del romanzo Buffalo Woman è Whirlwind (Mulinello), una donna Sioux Oglala che affronta il difficile periodo successivo alla battaglia del Little Bighorn. La National Cowboy Hall of Fame aggiudicò all’opera il prestigioso premio Western Heritage.
La stessa autrice, d’altronde, vedeva sé stessa come una tipica donna dell’Ovest. E, riguardo allo scrivere storie western, disse più o meno così: “Nemmeno gli uomini che scrivono storie sulla Frontiera l’hanno vissuta in prima persona. Ci documentiamo sulla carta stampata, e quella è la stessa per tutti, non è esclusiva di chi ha il petto villoso.”
In ogni modo, la Johnson non scrisse solo narrativa basata su cavalli e pistole. Per The Magazine of Western History scrisse anche articoli di costume, ricchi di ironia e basati su esperienze personali, comprese quelle vissute come centralinista, appena quattordicenne. (Number, Please! - Confessions of a Teen Aged “Central”).
In ogni caso, fu la sua specializzazione nel western a darle gratificazioni, e non solo economiche: oltre al citato Western Heritage Award ebbe diversi riconoscimenti, compreso il premio Spur (Sperone) per gli scrittori di western, e già nel 1959, consacrata local hero di Whitefish, ricevette le chiavi della città. Vent’anni dopo arrivò un altro premio, il Levi Strauss Golden Saddleman Award, e la scrittrice fu adottata dalla tribù dei Piedi Neri col curioso nome di Uccide Entrambi i Posti (Kills Both Places).
Con Un uomo chiamato cavallo terminò il rapporto diretto di Dorothy Johnson con il cinema (il film ebbe ben due seguiti, ma non tratti da opere della scrittrice). Era il 1970, e proprio in quell’anno Hollywood cominciava una rilettura critica – spesso spietata - del mito della Frontiera, con pellicole come Piccolo grande uomo, Soldato blu, La ballata di Cable Hogue, Uomini e cobra, La spina dorsale del diavolo. Nei decenni a venire, nessuno avrebbe più esplorato sugli schermi il lato vulnerabile dei protagonisti del West, ma soltanto la loro brutalità.
I tre racconti di Dorothy M. Johnson che hanno ispirato i film omonimi, con l'aggiunta del racconto La sorella scomparsa, sono riuniti nel libro L'uomo che uccise Liberty Valance, edito da Mattioli 1885.