Nel suo fondamentale Adventures in the Screen Trade, lo sceneggiatore William Goldman (Butch Cassidy, Misery, Potere assoluto) avverte che in fatto di cinema Nobody knows anything. Tradotto liberamente, "nessuno conosce davvero alcunché". E questa storia (raccontata in un altro libro fondamentale per i cinefili, Easy Riders Raging Bulls, di Peter Biskind) lo dimostra matematicamente.
Il giovane regista è nervoso. Sta per
mostrare un premontaggio del suo film ai suoi amici e colleghi più
fidati, anche loro registi e sceneggiatori, e al produttore. Di quel
ristretto gruppo manca solo una persona, un regista che ha dato
forfait all’ultimo momento. Anni dopo, spiegherà così il suo
rifiuto di sbirciare in anteprima il lavoro dell’amico: “La
realtà è che non vuoi vedere un film che sai migliore del tuo. E
anche se i tuoi amici più cari dicono che è il tuo a essere
migliore, tu sai che non è così”.
La proiezione comincia. Il regista aspetta ansiosamente l’opinione dei suoi amici, e soprattutto quella del produttore. Sta lavorando a quel progetto da cinque anni. Grazie al successo del suo film precedente, è riuscito a rinegoziare il contratto e ad assicurarsi diritti sulla colonna sonora, sui sequel e sull’eventuale merchandising. È stato accontentato senza problemi. Ridicolo pensare che ci siano sequel, e il merchandising richiede troppo tempo per uscire sul mercato e sfruttare la risonanza di un film.
“Voglio fare un film Disney”. Il
regista lo ha detto e ridetto agli amici senza troppi giri di parole.
Ha fatto tutti i conti. L’incasso medio di una pellicola Disney è
di 16 milioni di dollari. Lui sa che gli ci vorrà un budget di 10
milioni di dollari. La casa di produzione gliene ha concessi 8 e
mezzo, ma lui ha voluto cercare di persona i finanziatori. Conta
sempre su un budget di 10, e conta di ricavare alla fine un utile di
almeno 6 milioni di dollari.
Se il film andrà bene, s’intende. Ed
è un grosso “se”. Perché ora, a vedere questo primo, rozzo
montaggio, il lavoro sembra denunciare grosse pecche. Gli attori,
giovanissimi, sono poco espressivi, e forse non per colpa loro. Forse
aveva ragione l’attore che gli aveva detto: “Puoi anche scrivere
questi dialoghi, ma ti assicuro che non si possono recitare”. E il
montaggio è fiacco, privo di tensione. La moglie del regista, che
aveva cominciato a lavorarci, ha poi abbandonato il progetto per
andare a lavorare al film di un amico. Ora però anche lei è lì. E
appena la proiezione termina, seguita dall’imbarazzato silenzio dei
presenti, scoppia a piangere.
“E’ orrendo”, dice tra le
lacrime.
Uno degli amici, regista anche lui,
demolisce il film, definendolo un pastrocchio incomprensibile e perfino ridicolo. Gli
amici sceneggiatori tacciono imbarazzati, non osando esternare quello
che pensano. Il produttore, che aveva dato totale fiducia al giovane
talento, è una statua di sale.
Solo uno dei presenti – il più
giovane della compagnia – ha un’altra opinione. E dice
tranquillamente: “Questo film farà cento milioni di dollari”. Lo
guardano tutti come se fosse impazzito. Se voleva consolare il suo
amico, una silenziosa pacca sulla spalla sarebbe stata più sensata.
E invece Steven ha perfettamente
ragione a tranquillizzare l’amico George: Guerre Stellari li
farà, cento milioni di dollari. In soli tre mesi.
Nobody knows anything.
Forse Martin Scorsese aveva avuto un
po’ di coda di paglia nel defilarsi dall’anteprima del film di
Lucas. Dopotutto, Scorsese aveva scippato a Lucas la moglie Marcia
per farsi montare New York, New York. Che
sarà un clamoroso flop, nonostante due star come De Niro e Liza
Minnelli. Tra i “danni collaterali” del successo di Guerre
Stellari ci sarà l’affondamento
ai botteghini di Sorcerer di William Friedkin, sontuoso e
incompreso remake del Salario della Paura di Clouzot: un fiasco che oscurerà la carriera del regista dell’Esorcista. Brian
De Palma continuerà a dirigere con alterne fortune, alternando flop
a successi: nessuno di questi ultimi, però, raggiungerà mai le
dimensioni del film dell’amico George, che lui aveva così
brutalmente stroncato.