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4) LISCIATE IL PELO ALL’EDITORE
Non siate mai parchi di lodi nei confronti del vostro editore. Anche se vi paga una miseria e in ritardo, anche se a malapena vi saluta quando lo incrociate negli uffici della casa editrice, anche se vi impone scadenze da catena di montaggio, l’editore è una sorta di benigno Mentore Supremo. Non smettete mai di ringraziarlo per avervi dato fiducia, anche se lo ha fatto obtorto collo, semplicemente perché altri autori interpellati hanno rifiutato quel lavoro, o perché siete il primo che è capitato a tiro al momento di varare un progetto, e lui poi si è pentito di avervelo affidato.
Date il meglio di voi nell’aggettivazione: l’editore è sempre “lungimirante”, “comprensivo”, “propositivo”, e ovviamente “intelligente”. Nei confronti del vostro progetto è chiaramente “entusiasta” e “lo ha sostenuto fin dall’inizio”. Come? “Generosamente”, è ovvio.
Suggerite implicitamente che gli Editori non pensano a guadagnare con i fumetti, ma che fanno quello che fanno per amore dell’Arte.
Lusingare l’editore non serve solo allo scopo di continuare a sfamarvi. Serve anche a far sì che i vostri lettori abbiano fiducia in una autorità sovrana che guida benignamente i nostri destini, e in maniera del tutto disinteressata. Per un curioso paradosso, più i lettori sono atei materialisti nella vita di tutti i giorni, più sono scettici nei confronti dei telegiornali, del governo e dell’autorità in generale, più sono propensi a credere ciecamente negli editori di fumetti.
5) LISCIATE IL PELO AI COLLABORATORI
Vi sarà capitato, a cena o in occasione di qualche occasione ufficiale, di sedere accanto a persone sgradite, con cui mai e poi mai avreste voluto avere a che fare. Se siete uno sceneggiatore, vi sarà capitato di lavorare con un disegnatore che non capisce niente di quello che scrivete, sbaglia le espressioni dei personaggi convincendovi a riscrivere i dialoghi, “toppa” le inquadrature rendendo la narrazione incomprensibile. Se siete un disegnatore, vi sarà capitato uno sceneggiatore che vi ammorba con descrizioni lunghissime, che non riesce a farvi capire cosa dovete disegnare, che vi fa impazzire consegnandovi le tavole col contagocce. Ebbene, non potete alzarvi dalla sedia e cambiare di posto come fareste se foste a cena. Dovete tenervi il collaboratore sgradito e lavorarci insieme. Ma non basta: nelle interviste dovete dipingerlo come il più grande artista vivente. Come con l’editore, non risparmiate le lodi.
Usate parole come “talento straordinario”, o “arte”, tale e quale. Dipingete la vostra partnership come se fosse il legame con la donna dei vostri sogni. “Grande affiatamento” è poco. E anche “intesa quasi telepatica” non è abbastanza, anche se è già meglio.
Dilungatevi nella descrizione dei vostri rapporti professionali simulando grande coinvolgimento. Nella realtà di tutti i giorni gli sceneggiatori scrivono, mandano le tavole ai disegnatori e questi le disegnano. Ma tenete a mente che la realtà non interessa ai lettori. E quindi neanche a voi. State facendo fiction. Non state raccontando una relazione professionale, ma una appassionata storia d’amore. Raccontate dunque del vostro legame speciale, della distanza che vi separa, di lunghe telefonate in cui voi e il vostro collaboratore cinguettate e disquisite su quale sia l’inquadratura giusta per la vignetta 3 di tavola 22.
Sappiamo bene che nella realtà questo non accade: siete al telefono da tre minuti e già il bambino piange, il cane abbaia perché vuole uscire per la passeggiatina, vostra moglie vi impone di tagliare corto perché sono giorni che dovevate sbrigare quella data faccenda importantissima (per lei). E, soprattutto, non avete nessuna intenzione di trattenervi con un imbecille all’altro capo del filo che continua a rompervi le scatole per una vignetta del cavolo, che tanto poi sarà ritoccata in redazione.
Ma non importa. Non potete deludere i lettori rappresentando una storia a fumetti come il miserabile frutto del lavoro di due persone. La storia a fumetti, proprio come un bebé, è il frutto dell’amore di un papà e di una mamma che si sono voluti bene, e con il loro amore hanno trionfato su ogni avversità.
Infine, un dettaglio non trascurabile: al momento di parlare dei vostri collaboratori nelle interviste, ricordatevi che anche a loro, prima o poi, capiterà di essere intervistati e parlare di voi. Dunque, regolatevi.
6) LAVORATE A GUERRA E PACE E ALLA CAPPELLA SISTINA
La maggior parte delle interviste vi darà modo di parlare del vostro approccio al lavoro e del vostro metodo. E’ qui che potete dare il meglio di voi stessi. In un film, la vita dell’autore di fumetti sarebbe irrappresentabile: si tratterebbe di mostrare un tizio seduto a un tavolo, impegnato o a digitare su una tastiera o a disegnare su un foglio bianco. Come al solito, la realtà è molto meno interessante della fantasia. Inventate, dunque. E non mettetevi limiti di nessun tipo.
Il grande Moebius disse una volta che “le storie non debbono avere necessariamente la forma di una casa, ma anche la forma di un cerino o di un elefante.” Se migliaia di lettori hanno bevuto questa
str... ampalata affermazione (e purtroppo l’hanno bevuta anche decine di autori), non c’è ragione di preoccuparsi di quello che direte. Abbandonate ogni precauzione. Non dite che un bravo disegnatore deve rispettare le proporzioni, conoscere la prospettiva, azzeccare le inquadrature. Se avete ancora qualche vago ricordo dei vostri studi del liceo, ripescate nella vostra memoria qualche frase a effetto detta da un grande artista, da Michelangelo a Jackson Pollock. Voi non state facendo fumetti, state affrescando la cappella Sistina.
Per gli sceneggiatori, più portati a destreggiarsi con le parole, questo dovrebbe essere il momento forte di ogni intervista. Pensate a come deludereste i lettori dicendo semplicemente che vi mettete alla tastiera, vi concentrate e scrivete. Perciò lasciatevi andare senza freni inibitori. Voi non state facendo fumetti, state scrivendo Guerra e Pace. Lanciatevi in paragoni con le altre arti. Fate riferimento alla musica, parlate dei vostri testi come di melodie, di ritmi che sgorgano nella vostra testa. Oppure fate riferimento alla scultura, parlate di una storia come di un blocco di materia inerte da plasmare con la fantasia. Dite che vi guardate attorno e vedete i vostri personaggi seduti accanto a voi che vi parlano, vi scroccano una sigaretta e poi chiedono dov’è il bagno.(Ovviamente, fate poi attenzione che nessuno dei vostri familiari legga l’intervista, e attenzione soprattutto ai vostri figli. Se per chiarire le cose con vostra moglie può bastare qualche seduta di terapia di coppia, per un bambino è duro sentirsi dire dai compagni di scuola: “Tuo padre è pazzo, parla con i personaggi dei fumetti.”).
Ricordate: tanto più in alto sparate, tanto più in alto porterete i vostri lettori. Date loro l’impressione di fare parte di una sorta di ristretto empireo di anime elette, da cui ogni interesse terreno è bandito. Se potete, lasciate cadere disinvoltamente qualche accenno alla vil moneta: per dire che non vi interessa, ovviamente. Vi sarà capitato certamente di lavorare per un editore che vi aveva promesso cento e poi vi ha dato cinquanta, o che semplicemente ha chiuso la baracca prima di pagarvi. Insomma, vi sarà capitato di lavorare gratis o quasi (e di maledire ogni minuto speso per quel lavoro). Ebbene, raccontatelo nell’intervista, ma spacciatelo per una vostra scelta: avete realizzato quella storia “per il puro piacere di collaborare con l’autore X “o “con la soddisfazione di pubblicare per l’editore Y”. Meno siete pagati, più potete mostrarvi generosi.
Se il vostro lavoro ha un riscontro positivo, ditelo con tutte le iperboli possibili. Dite che state toccando il cielo con un dito, dite che la vostra esistenza ha un senso, dite che avete visto avverarsi il sogno di una vita. In un empireo di anime elette ogni gretto pragmatismo è fuori luogo: se vi limiterete a dire che siete contenti che il vostro lavoro sia apprezzato, i lettori non faranno più nessuna differenza tra di voi e il ragazzo che vi serve il cappuccino al bar. Anzi, la faranno: a voi non lasceranno nemmeno i cinque centesimi del resto.
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