Fino alla pubblicazione di Caravan nel 2009, in vent'anni di professione, le interviste che avevo rilasciato si contavano sulle dita di una mano. Quando leggevo interviste a fumettisti, spesso mi capitava di trovarle involontariamente esilaranti. Vedevo come i più abili davano sfoggio di grande creatività (forse ancora maggiore di quella presente nelle loro opere) nell'abbellire, tirare a lucido, enfatizzare o minimizzare, a seconda dei casi, i vari aspetti del loro lavoro. In sostanza, mentivano con la disinvoltura di un piazzista.
Discusse e sviscerate nelle interviste, storielline da nulla diventavano capolavori di portata shakespeariana. Pubblicazioni improvvisate erano spacciate per il frutto di macerazioni interiori e notti insonni, trascorse a cestinare una prima versione, poi una seconda e magari anche una terza, nella ricerca della perfezione. Il tutto condito da amarcord giovanili, liste di film, fumetti e dischi preferiti, considerazioni "filosofiche" sul medium, esternazioni sulla situazione politica e sui rapporti tra Stato e Chiesa.
Alla fine queste interviste si assomigliavano tutte. Erano così prevedibili che era possibile individuarne dei veri e propri tòpoi. Così misi in fila questi tòpoi sotto forma di decalogo, che chiamai "guida per l'autore bastardo". Per certi aspetti fu anche una sorta di self-training, in preparazione di future interviste al sottoscritto.
Era il 2006, l'anno in cui fu approvato il progetto di Caravan.
Sono passati quasi dieci anni. Di interviste, adesso, ne ho alle spalle un bel po'. Non le rileggo mai, come non leggo più quelle dei colleghi. So benissimo cosa risponde l'oste quando gli chiedete se il suo vino è buono.
PS: il pezzo è molto lungo. Lo divido in tre post.
Se “fare i fumetti” è difficile, è altrettanto difficile gestire quello che c’è “intorno” ai fumetti. Le interviste, per esempio. L’approccio di molti autori alle interviste è sbagliato. Molti autori pensano che, se ben condotte, le interviste possano influire positivamente sulla propria immagine. Ed è vero, ma non nel modo che tutti pensano.
Le interviste sono utili soprattutto ai lettori, dato che apparentemente offrono un’immagine del mondo del fumetto “dal di dentro”. Niente di più sbagliato. Servono esattamente allo scopo opposto: permettere ai lettori non di conoscere la verità sul fumetto, ma di continuare a credere nella sua favola. Il loro scopo è portare i lettori in una dimensione “altra” in cui non esistono miserie quotidiane e i Buoni vincono sempre.
Se l’autore intervistato dimentica questo, qualsiasi tentativo di mettersi in buona luce fallirà clamorosamente. Prima ancora di preoccuparsi di fare bene il proprio mestiere, un fumettista deve imparare a “fare la cosa giusta” nelle interviste. Ma essere bastardi non è facile come sembra. Una certa spontaneità frutto dell’entusiasmo, la semplice fretta di levarsi dai piedi il fastidio dell’intervista, o, peggio, una esecrabile fiducia nel valore della sincerità (e nella comprensione del prossimo) portano alcuni autori a raccontare la verità sulla loro professione. Col solo risultato di alienarsi la fiducia dei lettori, o addirittura di provocare il loro risentimento.
Come evitarlo? Semplice. Osservando il seguente decalogo.
1) RACCONTATE LA VOSTRA “PRIMA VOLTA”
Fatevi chiedere dall’intervistatore qual è il primo fumetto che avete letto o che vi ha appassionato, e raccontate il vostro incontro con l’autore (o il personaggio) preferito con dovizia di particolari. Raccontate quanti anni avevate e dove eravate. Stabilite il setting: “Mi ricordo, era l’estate del 1984, ero al mare con i miei…”. Non importa se quell'anno non avete fatto vacanze e siete rimasti in città. In questo modo inserirete subito il lettore in un contesto ben riconoscibile. Raccontate perfino dell’edicola, ma non in maniera sbrigativa. Dilungatevi sulla difficoltà della scoperta.
Sbagliato dire: “Andai in edicola e comprai il numero 19 di Doomslayer”
Corretto: “Andai in edicola e vidi, seminascosto dietro una copia di Fitness & Fatness, un misterioso albo con la copertina rossa, e una scritta gialla che non riuscivo a leggere interamente…”
Solo dopo potrete dire che era il numero 19 di Doomslayer. A questo punto, dateci sotto con la Scoperta, con la S maiuscola.
“Mentre tornavo alla bicicletta, aprii l’albo a caso e vidi la scena in cui Slayer fa esplodere la centrale nucleare. Era la prima volta che vedevo i disegni di John Ramirez (e ancora non sapevo che era Arthur Pendleton che gli scriveva i testi!!!). La potenza di quello stile graffiato mi colpì, così come la posa plastica di Slayer attaccato con tre dita alla testata del missile, e restai letteralmente ipnotizzato…”
Non abbiate paura di esagerare. Diete che siete rimasti folgorati. Dite che vi è caduta la mandibola per terra ed è rotolata sotto una macchina parcheggiata là vicino. I lettori non devono immaginarsi un moccioso in calzoni corti immobile sul marciapiede, con un albo in mano, l’espressione un po’ ebete e una narice cerchiata di moccio. Devono immaginarsi Indiana Jones che sbarra gli occhi davanti all’Arca Perduta.
In questo modo avrete ottenuto un risultato importante. Avrete convinto i lettori che voi siete “uno dei loro”. Anche se né voi né loro assomigliate a Harrison Ford. E, soprattutto, non avete mai sfogliato un albo disegnato da John Ramirez.
2) INVENTATEVI UN MENTORE
Ogni fiaba, Vogler insegna, ha un mentore che aiuta il giovane eroe. Ecco, i lettori vedono in voi un eroe. Chi siete per smentirli? Inventatevi un mentore, dunque. Una figura saggia – meglio se più anziana – che ha creduto in voi e che vi ha sempre sostenuto. Io e voi sappiamo che nella realtà nessuno vi ha mai incoraggiato a fare i fumetti, che i genitori vi volevano laureato a tutti i costi, e quando vi vedevano chino a scarabocchiare vi esortavano a mettere la testa a posto, oppure sospiravano: “Ma perché non ti droghi come fanno tutti?”. Ma non importa. Nelle fiabe il mentore ci vuole, e quindi anche voi avrete il vostro Gandalf. Può essere certamente un autore di fumetti già affermato, che vi ha dato preziosi consigli.
Ma cosa fare se non ne avete mai conosciuto uno? Semplice. Inventatevi un altro mentore, esterno all’ambiente del fumetto. Un professore di liceo va benissimo. Meglio se non troppo giovane. Specificate che era “colto e brillante”. Se ha apprezzato il vostro talento, non poteva che essere colto e brillante. Potete addirittura spingervi a dedicargli una storia. (Es: “Al professor Colasanti, che ha sempre creduto in me.”). Non preoccupatevi minimamente di essere smentiti dai vostri ex compagni di liceo, che sanno benissimo che non c’è stato nessun professor Colasanti. Loro non leggono i vostri lavori, e sicuramente negano perfino di avervi mai conosciuto (soprattutto la biondina del primo banco, quella a cui mandavate disegnini nella vana speranza di farvi notare).
Particolare importantissimo: il mentore funziona anche al contrario. Ne parliamo al punto seguente.
3) INVENTATEVI UN NEMICO
Siamo in una favola, ricordatevi. Il Male deve essere sconfitto. Scegliete anche voi un Nemico che avete sconfitto, possibilmente contro ogni previsione, dimostrando così al mondo che “ce l’avete fatta”. Il Nemico è una sorta di mentore al contrario, qualcuno che non aveva fiducia in voi, non credeva che ce la poteste fare, e che anzi vi ha addirittura esortato a cambiare mestiere. Ricordate la regola che applicate nelle vostre storie: più forte è il Nemico, più valoroso risulterà l’Eroe.
Ecco perché il Nemico non può essere un professore del liceo, o un cugino antipatico, o i vostri genitori (questo sarebbe realistico, e il realismo è bandito dalle favole). La scelta del Nemico non è facile. Perché il Nemico altri non può essere che un altro autore di fumetti, ovviamente affermato nel momento in cui voi eravate alle prime armi. Facile intuire che la scelta del Nemico va gestita con molta oculatezza, per evitare spiacevoli ritorsioni. Innanzitutto tastate il polso di chi vi intervista, cercando di capirne le antipatie. Se, per esempio, rilasciate un’intervista a un sito specializzato in fumetti americani, indicate come Nemico un autore della Sergio Bonelli Editore. Se rilasciate un’intervista a un sito specializzato in fumetti bonelliani, indicate come Nemico qualcuno della defunta Granata Press, etc. etc.
Anche qui, non preoccupatevi di essere smentiti. Gli autori visionano decine di tavole alle mostre, e se anche leggeranno l’intervista (ma non lo faranno, tranquilli) non saranno assolutamente in grado di ricordare se hanno visto o no il vostro lavoro.
Occorre grande attenzione, però, nell’evitare di esagerare. Non date l’impressione di serbare del rancore. Raccontate l’episodio in maniera apparentemente neutra, ma giocando sottilmente sugli avverbi. Es: “Mi avvicino a lui e gli chiedo timidamente se posso mostrargli delle tavole… lui fa cenno di sì. Gli porgo il portfolio e lui lo sfoglia velocemente…poi bofonchia…” (nda: gli autori stronzi non parlano, bofonchiano).
Dopo queste parole, il lettore è tutto dalla parte del Giovane Autore trepidante davanti al Vecchio Stronzo, che con aria di sufficienza liquida in pochi minuti tavole costate mesi di lavoro. Fate una pausa d’effetto e poi concludete il vostro racconto con il verdetto dello Stronzo: “poi bofonchia: guarda, secondo me hai sbagliato mestiere”.
A questo punto il lettore – che vi reputa ormai affermato quanto il Vecchio Stronzo – scoppierà in una risata liberatoria. Siatene orgogliosi. State dando al lettore il riscatto che lui non ha mai avuto. State vendicando il momento in cui lui, il vostro giovane fan, è stato cazziato da un superiore, lasciato dalla ragazza, non risarcito dalla compagnia di assicurazioni, salassato dall’idraulico. Gli state dimostrando che la Giustizia esiste. Poi forse si suiciderà quando si ritroverà sottoposto a uno spietato mobbing, o la nuova fidanzata lo mollerà per scappare con una donna, ma questi non sono affari vostri.
Attenzione, però. Dovete essere sinceri con voi stessi tanto quanto non lo siete con i lettori. Se il vostro incontro col Vecchio Stronzo è realmente avvenuto, se un autore affermato ha visto i vostri lavori e vi ha detto di cambiare mestiere, rifletteteci un momento: potrebbe avere ragione. E il fatto di avere pubblicato una storia e di avere rilasciato un’intervista a un sito web non vi assicura che avrete un futuro come fumettista.
leggi il secondo capitolo