mercoledì 18 gennaio 2023

IN UN MONDO PERFETTO

In un mondo perfetto, le sceneggiature dei fumetti verrebbero scritte, disegnate, completate col lettering e poi pubblicate a una data stabilita. Ma questo non è un mondo perfetto.

La realizzazione della storia di Nathan Never ora in edicola cominciò nel 2008, col titolo di lavorazione Alla fine del giorno. Questo albo avrebbe dovuto essere il primo del ciclo Intrigo Internazionale, poi pubblicato nel 2019. All'epoca, la nostra idea era di cominciare questa sequenza di storie in medias res: improvvisamente scopriamo che Nathan Never ha lasciato l'agenzia Alfa ed è diventato un private eye con tanto di cappello e impermeabile bogartiano. Perché? Che cosa è successo? I lettori lo avrebbero scoperto negli albi successivi. Ma questo non avvenne.

La sceneggiatura di Alla fine del giorno fu affidata alle matite di Roberto De Angelis, che dovette però interrompere il lavoro per disegnare il primo albo di Caravan, la mia miniserie uscita nel 2009. Poi, appena terminato Caravan, Roberto dovette dedicarsi completamente e improrogabilmente a Tex. E così la lavorazione del ciclo di storie con Nathan “occhio privato” si arenò prima di cominciare. Trattandosi di una serie di storie collegate fra loro, non era possibile scriverle se il primo episodio non era pronto. Vista la situazione, non continuai la sceneggiatura, di cui avevo scritto meno di una trentina di tavole. Quelle già disegnate finirono in un cassetto e tutti noi ce ne dimenticammo. Almeno fino a quando non realizzammo effettivamente il ciclo Intrigo Internazionale, partendo da un'idea diversa e con tutt'altro sviluppo.

A quel punto il problema era: che cosa fare col materiale già realizzato per Alla fine del giorno? Non era possibile proseguire la scrittura secondo il soggetto originale, essenzialmente per un motivo pratico: di quel soggetto, a dieci anni di distanza, avevo solo un vaghissimo ricordo. E c'era un altro problema: la storia sarebbe stata in contraddizione con la situazione presente di Nathan Never, che sì, aveva lasciato l'Agenzia Alfa, ma poi vi era rientrato per diventarne il direttore. Come uscire da questa impasse? Con un bel poʼ di lavoro.

Il testo di quella trentina scarsa di tavole è stato radicalmente riscritto, e il resto della storia è stato scritto ex novo, in base a un'idea che, per quanto vago sia il mio ricordo, non era presente nella versione del 2008. E che non mette in contraddizione l'albo con la continuity attuale. Non è stato un lavoro facile, ma neanche così difficile come mi sembrava in un primo momento.

Più difficile è stato trovare un disegnatore che proseguisse l'albo in continuità grafica con lo stile di De Angelis. Alla fine la nostra scelta è caduta su Simona Denna, e si è rivelata azzeccata. Simona ha fatto uno splendido lavoro, adeguando il proprio segno a quello di De Angelis, senza riprodurlo in maniera smaccata.

Così, a dieci anni di distanza dall'inizio della sua lavorazione, Alla fine del giorno arriva in edicola molto diversa da come era stata pensata, a cominciare dal titolo, che non cita più la canzone Private Investigations dei Dire Straits. La storia avrebbe dovuto concludersi con una carrellata dall'interno dell'ufficio di Nathan all'esterno, con le vignette scandite dai versi della canzone. 

And what have you got at the end of the day

what have you got to take away
a bottle of whisky and a new set of lies
blinds on the window and a pain behind the eyes.
 
L'idea per la tavola finale la ricordo benissimo, a differenza di tutto ciò che la precedeva: l'ultima sequenza di vignette avrebbe mostrato Nathan dietro la finestra, in una silhouette schermata progressivamente dai listelli delle veneziane che si chiudevano (“blinds on the window...”), fino a sparire ai nostri occhi. L'ultima vignetta, con la didascalia “...and a pain behind the eyes” sarebbe stata completamente nera.

Ma questo non è un mondo perfetto in cui ogni nostro desiderio si realizza. Il finale della storia ora è diverso. In ogni modo, spero che ne siate soddisfatti come lo sono io. 

 
 
Le prime tre tavole della sceneggiatura del 2008 
 


giovedì 20 ottobre 2022

LONELY BOY - LA VITA PUNK DI STEVE JONES


Finalmente è uscita anche in Italia Lonely Boy, l’autobiografia di Steve Jones scritta in collaborazione con il giornalista Ben Thompson. Dico “finalmente” perché il libro è del 2017. Se qualcuno (edizioni Salani) si è deciso a pubblicarlo, è perché su Disney Plus è arrivata la serie tratta dal libro, col titolo Pistol. Jones è stato il chitarrista dei Sex Pistols, e la sua vita è intrecciata inesorabilmente con l'avventurosa parabola del gruppo punk per antonomasia.

Era il 1977 quando la band salì alla ribalta col suo primo e unico album, Never mind the bollocks (“Lascia stare le cazzate”), trainato dalla ferocissima God save the Queen: “Dio salvi la regina/ e il regime fascista/ hanno fatto di te un idiota/ una potenziale Bomba H (…) non c’è futuro nel sogno dell’Inghilterra, non c’è futuro per te”. Quasi impossibile riassumerne in poche righe l’effetto bomba sulla scena rock e sulla società inglese dell’epoca.

Dei Sex Pistols, Steve Jones fu chitarrista e fondatore insieme all’amico batterista Paul Cook. A loro si aggiunsero il bassista Glen Matlock, il cantante John Lydon, più noto come Johnny Rotten (marcio), e in seguito, al posto di Matlock, John Simon Ritchie, per tutti Sid Vicious. Soprannomi significativi, questi ultimi. Il punk rock non poteva nascere da figli di papà iscritti a un prestigioso college. Nasceva dall’emarginazione e da una frustrazione rabbiosa che le classi meno abbienti riversarono nella musica, col contorno di eccessi di ogni genere. 

La copertina del mitico album del 1977

Jones coltivò tanto la musica quanto la vocazione agli eccessi: figlio di una madre single, il piccolo Steve cresce con un patrigno che arriva ad abusare di lui, e la sua è un’infanzia che lui stesso definisce “dickensiana”: poverissima e vissuta per la strada. Il riscatto arriverà anni dopo solo grazie alla musica. Una musica vissuta con la stessa irruenza della vita quotidiana, nella Londra turbolenta degli anni Settanta, devastata dalla crisi economica e da forti tensioni sociali. La gioventù di Steve Jones è un susseguirsi di furti, arresti, promiscuità, alcol, droghe e infine concerti che si trasformano in risse, tra pugni e bottigliate. L’unico punto fermo, la stazione di ogni arrivo e partenza, è un negozio di abbigliamento di nome SEX, di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Jones lo bazzica prima da cliente, poi da amico di McLaren e infine da membro della “sua” band. Già, perché McLaren, spregiudicato manipolatore e mago dell’autopromozione, si vende da subito come “inventore” dei Sex Pistols. Arriverà a produrre anche un film (The Great Rock’n’roll Swindle, La grande truffa del rock and roll) per cementare la propria mitologia.

In Lonely Boy Jones smonta in parte la narrazione dell’amico-manager e rivendica il proprio ruolo nella nascita della band. Quello che è certo è che lui e Paul Cook arrivarono prima, e gli altri due dopo. Non fu amore a prima vista. E nemmeno amicizia. Ma, giura Jones, erano proprio quelle scintille ad accendere la miccia sul palco e a far detonare ogni canzone come una esplosione di energia.

Non per molto, comunque: ad appena un anno dal debutto discografico, le tensioni all’interno del gruppo, alimentate dallo stesso McLaren all’insegna del divide et impera, lo fanno implodere. Il bassista Matlock – il punk meno punk del gruppo, musicista vero - viene messo alla porta. Arriva Sid Vicious, amico di Rotten. Che ha due grossi problemi: il primo è che si fa di eroina. Il secondo è che non sa suonare il basso. Per quest’ultimo ci mette una pezza Jones, che spiega pazientemente a Sid dove posare le dita per suonare le note giuste. Per la droga, invece, non c’è niente da fare. Schiavo tanto dell’eroina quanto del ruolo di icona ribelle, Sid Vicious diventa presto incontrollabile. 

La locandina del film The Great Rock'n'Roll Swindle

Dopo il travagliatissimo tour americano del 1978, i Pistols si sciolgono e ognuno va per la sua strada. Quella di Sid Vicious è breve: il giovane muore per overdose dopo avere assassinato (in circostanze mai chiarite) la sua compagna Nancy Spungen. L’ultimo concerto della band, al Winterland di San Francisco, si era chiuso forse non a caso con No Fun (Nessun divertimento), un pezzo degli Stooges. È in quel momento che il filmato – un video ormai storico – cattura lo sguardo stanco e disilluso che Rotten, accovacciato sul palco, getta sulla platea. Poco dopo si congeda così dal pubblico: “Ah. Ah. Ah. Avete mai la sensazione di essere stati ingannati? Buonanotte."

Con la fine della band, per Steve Jones comincia la discesa nell’abisso, tra ristrettezze economiche e dipendenze da sesso, alcol e droga: l’eroina, stavolta, non più le pillole che prendeva per tenersi sveglio e scrivere canzoni. Gli effetti sul fisico sono molto più pesanti.

Rimasto senza un soldo, Jones lascia Londra e si trasferisce negli USA, rimanendo aggrappato alla musica come a un salvagente, e qui comincia la risalita dall’abisso. Un paio di dischi, concerti, una faticosa disintossicazione, e infine, nel 2004, il programma Jonesy’s Jukebox, con cui si reinventa conduttore radiofonico. E si concede due tour celebrativi con gli altri Pistols. Col secondo di questi volano di nuovo gli stracci tra i vecchi compagni. Jones non racconta né come né perché, ma conclude che il passato ormai è alle spalle. Invece Jonesy’s Jukebox continua, sia pure su emittenti diverse, e gli procura una certa stabilità. Almeno quanto basta per guardarsi alle spalle col disincanto dei sessant'anni, e raccontare una vita turbolenta dall’inaspettato lieto fine.