venerdì 4 marzo 2016

PERO', LA VITA...

Righe scritte a caldo, nel 2012, poco dopo la scomparsa di Lucio Dalla.


Come molti miei coetanei, Lucio Dalla l’ho conosciuto con la canzone Fumetto, sigla della trasmissione televisiva Gli eroi di cartone. Sarà stata la magia dell’infanzia, ma Dalla per me irradiava buonumore. Ed è stato così anche quando, ormai adolescente, l’ho sentito cantare canzoni piene di malinconia.

Ripensando alla sua discografia, c’è una cosa che mi colpisce e che apprezzo oggi forse più di ieri. Anche nei suoi testi più difficili e “impegnati”, come si diceva negli anni settanta, non c’è mai stata quella rabbia cieca – contro la società, i potenti, il destino – che diventa livore nichilista.

C’è sicuramente una sana indignazione “politica” alla base di canzoni (da lui interpretate, ma non scritte) come Itaca, Le parole incrociate o L’operaio Girolamo, ma che trova la sua controparte in altri pezzi programmaticamente leggeri quando Dalla comincia a scriversi da sé i testi (o a scriverli senza scriverli, come il gramelot di Pezzo Zero). Basti pensare alla surreale, spassosa sarabanda Corso Buenos Aires, per non parlare della famosissima Disperato Erotico Stomp.

Quella di Dalla non era un’ironia a denti stretti, utilizzata come estrema difesa dalle brutture del mondo. Era il segno di una capacità genuina di lasciarsi andare, di cogliere l’attimo e cantare la gioia delle cose della vita.