sabato 1 agosto 2015

I GENI, I MAESTRI E TUTTI GLI ALTRI (agosto 2012)

Una riflessione estiva di qualche anno fa. E anche un'occasione per ricordare due grandi artisti. Diversissimi fra loro, ma diventati una parte importante della nostra cultura. 



Agosto, come dice il mio amico Tito, “è una lunga domenica”, e favorisce discussioni un po’ oziose sui massimi sistemi. Del tipo: qual è la molla che spinge in avanti la creatività?

Com’è che si arriva a creare per un pubblico? Cos’è che ti fa mettere mano a una tastiera (un tempo era una penna), a uno strumento musicale, a una macchina da presa, pensando che hai qualcosa da dire al mondo, e che sei in grado di comunicarla?

Molti anni fa, quando ero solo un ragazzino che sognava di scrivere, mi capitò di vedere in televisione un’intervista a Fabrizio De Andrè. De Andrè parlava del suo album Storia di un impiegato, e raccontava di averne regalato una copia autografata al poeta Gregory Corso. De Andrè disse che reputava Corso (scomparso nel 2010) un maestro. E da qui partì con una digressione sull’Arte che non ho mai più dimenticato.

I grandi artisti – spiegò Faber – si dividono in Geni e Maestri. Il Genio è quello immenso. Come Dante. Ma proprio per questo ti chiude in faccia le porte dell’Arte. Perché è immenso, e tu sai che non potrai arrivare mai al suo livello. Non ti ci potrai neanche avvicinare, perché non si può “imparare” ad essere geni. Ma col Maestro è diverso. Il Maestro non risplende come il Genio, ma è quello che le porte dell’arte te le può dischiudere. Perché ti può insegnare. E tu sai che se studi, se ti applichi, se hai un pizzico di talento, ma soprattutto disciplina, puoi sperare di arrivare un giorno a essere come lui.

Per anni ho creduto alle parole di De André – l’arte è in sostanza il tentativo di emulare e superare i maestri – finché non ho capito che non era vero. Le cose non stanno affatto così. E lo ha spiegato bene un altro grande artista – un comico, stavolta – e ancora una volta in un’intervista televisiva.

Anni ottanta: Gianni Minà intervista Massimo Troisi, in occasione dell’uscita di un suo film, e gli chiede com’è che ha deciso di passare dalla tivù al cinema, e per giunta come regista, stando dietro la macchina da presa. Da dove ti è arrivata l’ispirazione?, chiede Minà.

Troisi parte con un discorso sulla grandezza dell’arte cinematografica. Parla dei grandi registi che tutti amiamo, e che ci fanno amare il Cinema, quello con la C maiuscola. Nomina Fellini. Dice quanto è immenso il genio di Fellini. Racconta di essere andato a vedere un film di Fellini e di essere rimasto folgorato; infine, di essere uscito dalla sala trasfigurato e con una profonda convinzione: la convinzione di non poter mai e poi mai fare il regista.

Esattamente il discorso di De Andrè. Il Genio ti chiude in faccia le porte dell’arte. Ma, superato un primo attimo di perplessità, Minà ridacchia e chiede conto a Troisi della sua contraddizione: – Va bene, ti sei convinto che non potevi fare il regista… ma poi il regista lo hai fatto lo stesso, no?

E Troisi risponde serafico: – Certo. Perché poi ho visto altri film.

E adesso alzi la mano chi non ha mai pensato, di fronte a un brutto film (o a un brutto fumetto, o a un brutto libro, a un brutto disco): “Beh, caspita, a fare meglio di così ci riesco anch’io”. Nove su dieci lo avranno semplicemente pensato. Quell’uno rimasto lo ha fatto, il “meglio di così”.

Ci voleva un comico per dire che il re è nudo. E cioè che il cammino dell’arte non è la scalata verso la vetta più alta, ma semplicemente verso quella che vedi alla tua portata.