giovedì 26 settembre 2019

GRAZIE, SERGIO

settembre 2011

Lo chiamavo “signor Bonelli” e gli davo regolarmente del lei. Non ho mai tentato di dargli del tu, né lui mi ha mai invitato a farlo. Il nostro era un rapporto di reciproco rispetto, pur nel gioco delle parti che imponeva all’editore di tirare le briglie e all’autore imponeva di cercare di allentarle. So che qualche volta – anche se lui non mi ha mai rimproverato direttamente – l’ho fatto arrabbiare. E sicuramente lui sapeva che qualche volta ha fatto arrabbiare me.

Ho frugato nella mia memoria alla ricerca di un ricordo preciso, di un aneddoto significativo sul “mio” Sergio Bonelli. Mi sono tornati in mente tanti momenti, quasi tutti piacevoli, alcuni perfino divertenti. E alla fine ho scoperto di esserne geloso, e perciò mi perdonerete se li tengo per me.

Ma c’è qualcosa di più di un aneddoto, che vorrei condividere.
Al funerale, con un groppo alla gola nel vedere la folla radunata per l’ultimo saluto, ho pensato due cose. La prima è che Sergio Bonelli aveva intrecciato la sua vita con quella di tante persone. La seconda cosa che ho pensato è stata che tra quelle persone c’ero anch’io. E che potevo ritenermi fortunato per questo.

Nell’estate del 1989 Sergio Bonelli disse di sì alla folle proposta di una serie di fantascienza. Folle non solo perché non c’era mai stata una serie di fantascienza a fumetti realmente popolare in Italia, ma anche perché la proposta veniva da tre giovani di cui il più grande era poco più che trentenne, e la cui esperienza professionale ammontava a così poche sceneggiature che potevi contarle sulle dita di una mano.

Ripensandoci oggi, a sangue freddo, quella non era nemmeno la proposta di un progetto. Era una sfida. Bonelli la raccolse.

Due anni dopo, Nathan Never uscì in edicola. E la sfida fu vinta. La serie fu un grande successo. Anche se non paragonabile per dimensioni a quello di Dylan Dog, quello di Nathan Never forse è stato l’ultimo vero successo “popolare” del fumetto italiano.
Per me, per i miei amici Antonio Serra e Bepi Vigna questo cambiò molte cose. Beh, diciamo pure che cambiò quasi tutto. Qualcuno ha detto: “Quando hai un sogno sta’ attento, perché potrebbe avverarsi”. Se credete che sia stata una passeggiata, no, non lo è stata.

Eppure non posso fare a meno di pensare che per me, se non ci fosse stato Nathan Never, non ci sarebbero state nemmeno altre cose belle e importanti. Non so quale direzione avrebbe preso la mia vita se quel giorno d’estate Bonelli avesse detto – e aveva mille ragioni per farlo – “No, grazie”.

Invece ci disse sì.

Ci diede la sua fiducia. E anche se personalmente credo di averla ripagata, a tutt’oggi non ho idea del perché ce l’avesse concessa. Per pudore non gliel’ho mai chiesto, e ora non potrò più farlo. Non potrò nemmeno dirgli grazie di persona.

Lo faccio ora, e per la prima e ultima volta mi permetto di dargli del tu: grazie, Sergio.

Per la tua fiducia, per i sogni avverati e sì, anche per le fatiche quotidiane che hanno reso irripetibile questa avventura.

Grazie per questo pezzo di vita.


 
 foto dal sito www.sergiobonelli.it