In occasione della Giornata della Memoria, ripropongo un articolo pubblicato nel mio vecchio sito il 24 febbraio 2012, settantesimo anniversario di una delle stragi più dimenticate della Seconda Guerra Mondiale: quella della nave Struma. Pur rientrando nella grande tragedia dell’Olocausto, la tragedia della Struma ha una caratteristica quasi grottesca: per un macabro gioco del destino, i nazisti non vi ebbero un ruolo diretto.
Il 12 dicembre 1941 un’imbarcazione di nome Struma lasciava il porto di Costanza, nella Romania occupata dai nazisti. A bordo c’erano quasi ottocento ebrei di tutte le età, in fuga dagli orrori della persecuzione. Avevano visto i loro cari ammassati contro i muri e falciati dalle mitragliatrici, e i cadaveri dei rabbini appesi a ganci da macellaio nelle piazze. I fuggiaschi della Struma intendevano raggiungere il porto di Istanbul e chiedere alle autorità inglesi, responsabili del Mandato di Palestina, il permesso per entrare nel futuro stato di Israele.
La Struma non era una nave vera e propria. Era una chiatta fluviale vecchia di cent’anni, usata per il trasporto del bestiame. Dopo appena quattro giorni di viaggio il motore ebbe un guasto, e risultò impossibile ripararlo. Mancavano gli utensili, e non solo quelli. Prima della partenza, al porto, i doganieri rumeni avevano sequestrato ai passeggeri quasi tutto ciò che essi avevano con sé: a bordo non c’era più cibo né acqua, e nemmeno il carburante per proseguire, ammesso che il motore fosse stato riparato. Il capitano riuscì comunque a raggiungere il porto di Istanbul, ignorando che quella non sarebbe stata una tappa, ma la fine del viaggio della speranza.
Solo un pugno di passeggeri, al momento dell’imbarco, aveva permessi validi per raggiungere il nascituro stato d’Israele. Per tutti gli altri, dal punto di vista della Gran Bretagna, l’ingresso nel medio oriente era vietato. C’era un limite numerico imposto dagli inglesi: solo un numero predeterminato di migranti poteva avere accesso al futuro stato di Israele. In realtà, nel marasma della guerra, molti dei permessi richiesti alle autorità britanniche non erano stati poi utilizzati. La Gran Bretagna avrebbe potuto trasferire questi permessi ai passeggeri della Struma, considerata la drammatica situazione a bordo. Ma non lo fece, per compiacere gli stati arabi che protestavano a gran voce contro le immigrazioni degli ebrei. E gli inglesi non si accontentarono di questo: chiesero alla Turchia di non fare scendere a terra i passeggeri dall’imbarcazione.
Quando i passeggeri, stremati, si appellarono alle autorità turche, si sentirono rispondere che “la Turchia non vuole gente che non è voluta da nessuna parte”. Solo chi aveva il visto inglese riuscì, dopo giorni, a scendere a terra. Quei pochi fortunati definirono la Struma “una bara galleggiante”.
Corrompendo le autorità portuali, alcuni ebrei turchi riuscirono a portare a bordo piccole quantità di acqua e cibo, che non potevano bastare per ottocento persone stipate in un piccolo spazio, in condizioni igieniche spaventose. Il 19 gennaio l’Agenzia Ebraica per la Palestina inoltrò un appello ufficiale alle autorità inglesi, sottolineando che a bordo della Struma ormai la situazione era critica.
Gli inglesi non risposero se non dopo settimane, solo per spiegare che non potevano permettere che i passeggeri sbarcassero; il pretesto era che la Struma proveniva da un paese ostile, e a bordo potevano esserci spie. Poco importava che nello stesso periodo polacchi, jugoslavi e altri profughi non ebrei in fuga dalla Germania o dai paesi sotto il tallone tedesco arrivassero in Medio Oriente senza che gli inglesi avessero da ridire.
Cominciò allora una frenetica trattativa tra l’Agenzia Ebraica e le autorità inglesi e turche per consentire che almeno i bambini (a bordo c’erano 103 minori) potessero proseguire il viaggio verso la Palestina. La trattativa si tradusse in un rimpallo di responsabilità fra turchi e inglesi e non portò ad alcun risultato. Bimbi e ragazzi rimasero a bordo.
Il 23 febbraio la situazione si trascinava da due mesi, e la Turchia decise di sbarazzarsi definitivamente del problema. La polizia turca salì a bordo della Struma e, soffocate a manganellate le proteste dei passeggeri, fece agganciare la chiatta a una nave turca che la trainò al largo, a dieci chilometri dalla costa.
Quando la nave turca si sganciò, la Struma rimase ferma in balìa delle onde. In quei due mesi non era stato possibile riparare il motore. Le scarse provviste a bordo erano finite. Non c’era più cibo né acqua.
L’agonia della Struma e dei suoi passeggeri durò poco. Dopo alcune ore, il mattino del 24, la nave saltò in aria. Un sottomarino sovietico l'aveva avvistata e il comandante, non riuscendo a identificare l’imbarcazione, aveva deciso di considerarla una minaccia, e aveva dato l’ordine di affondarla.
Quando finalmente i turchi mandarono i soccorsi, i passeggeri della Struma erano morti tutti, chi nell’esplosione, chi annegato o assiderato nelle acque gelide. Ci fu un solo superstite, un ragazzo di nome David Stoliar. Dopo avere passato settimane in una prigione turca, il giovane ebbe un permesso speciale per arrivare in Palestina. Lo stesso tipo di permesso arrivò anche a una donna di nome Medea Salamovici. Essendo incinta e a rischio di aborto, la donna era stata fatta scendere dalla Struma per essere ricoverata in un ospedale di Istanbul. L’alto commissario inglese Sir Harold MacMichael si oppose fino all’ultimo alla concessione dei due permessi, sostenendo che avrebbero “aperto la diga alla piena”.
Dei quasi ottocento profughi imbarcati sulla Struma, soltanto due raggiunsero la terra promessa.
Fonti:
Sarah Honig, Lessons from the floating coffin
Joseph E. Katz , The Struma & The unmitigated policy of the British against Jewish refugees fleeing Hitler's war against them
Ayhan Ozer, The Struma tragedy
Hasim Surel, Were Britain and Turkey responsible for the Struma tragedy?