lunedì 15 maggio 2023

IL SECONDO ALBO E' SEMPRE IL PIU' DIFFICILE?

Come ho già ricordato qui, dopo avere collaborato a due storie di Martin Mystère, Serra, Vigna e io presentammo alla casa editrice altri due soggetti. Erano, ancora una volta, idee per Martin Mystère. Una di queste diventò La donna immortale (Martin Mystère n.79), il nostro primo albo come soggettisti e sceneggiatori, il debutto ufficiale da professionisti del fumetto. A disegnarlo fu un altro absolute beginner: Dante Bastianoni, in seguito nostro collaboratore su Nathan Never

La seconda proposta, invece, ebbe un esito curioso: fu ritenuta da Tiziano Sclavi più in linea con il neonato Dylan Dog, all’epoca uscito da pochi mesi. Dunque, fummo incaricati di scrivere la sceneggiatura sostituendo Martin con Dylan. Per farci familiarizzare col suo personaggio, Tiziano Sclavi ci spedì in anteprima l’albo Gli uccisori, fresco di stampa e non ancora in edicola, e due delle sue sceneggiature in fase di disegno: Attraverso lo specchio (poi pubblicata su Dylan Dog n. 10) e Golem (Dylan Dog n. 12, col titolo Killer!).

Quella nostra prima sceneggiatura di Dylan Dog che, dattiloscritta nel lontano 1987, diventò poi l'albo n. 29 di Dylan Dog, è ancora in mio possesso, dentro la sua brava cartellina. Il titolo di lavorazione era Fuga dall'incubo. Come potete vedere qua sopra, uscì poi col titolo Quando la città dorme.

 

Non ho alcun ricordo del lavoro fatto per La donna immortale, segno che probabilmente tutto filò liscio. D’altronde, leggevamo Martin Mystère da anni. Sapevamo come muovere il personaggio e come farlo parlare. Con Dylan Dog, personaggio nuovo di zecca, in edicola da appena quattro mesi, le cose furono un po’ più complicate, evidentemente.

Dico “evidentemente” perché in realtà non ricordo nulla di preciso nemmeno della realizzazione di Quando la città dorme. L’evidenza che sia stata laboriosa è data dalle condizioni del dattiloscritto. Alcuni fogli sono indubbiamente quelli originali. Altri sono fotocopie, e su alcune di queste sono presenti paragrafi con caratteri più piccoli, segno dell’intervento di una macchina da scrivere elettrica (probabilmente quella di Tiziano Sclavi). Di diverse tavole c’è una doppia versione, frutto di ripensamenti prima dell’invio alla casa editrice. La numerazione risulta cancellata col bianchetto e poi riscritta a mano. Ci sono poi numerosi fogli di appunti scritti a mano da Bepi Vigna e Antonio Serra. E infine, una chicca: un vero e proprio storyboard disegnato da Antonio Serra. Suo è anche il disegnino esplicativo presente sulla tavola 21, mentre quello a tav. 29 è mio. Come si vede, fu realizzato su un foglio a quadretti, e poi ritagliato e appiccicato sulla sceneggiatura. 





Non ho ritrovato l'albo in questione sugli scaffali, quindi ringrazio l'amico Massimiliano Scalas, che mi ha segnalato la corrispondenza tra tavole di sceneggiatura e pagine stampate. La tavola 21 del dattiloscritto corrisponde alla pagina 25 dell'albo, mentre la sequenza da tavola 28 a tavola 30 corrisponde alle pagine 32, 33 e 34 dell'albo. Diverso il caso dello story-board, che non trova corrispettivi esatti nell'albo: probabilmente era una prima visualizzazione da parte di Antonio, e poi è stato riarrangiato collettivamente in fase di scrittura.

Ultima, doverosa considerazione: per quanto all’epoca tutto questo lavoro possa essere stato impegnativo, col senno di poi posso dire che si trattò di semplice routine. In seguito avremmo affrontato ben altri problemi: riscritture massicce, a volte quasi totali, e non necessariamente per correggere errori, ma per adattare le storie alla continuity o per l’impossibilità di modificare i disegni in corsa. 

Quindi, la risposta alla domanda è no. Non è vero, il secondo albo non è sempre il più difficile. Il più difficile è sempre quello che verrà dopo, e che magari non hai nemmeno iniziato a scrivere.

sabato 13 maggio 2023

LA PIGRIZIA DI ALFREDO CASTELLI

Il contributo di Alfredo Castelli (per amici e lettori il BVZA, il Buon Vecchio Zio Alfredo) al fumetto italiano è semplicemente enorme, ed è impossibile riassumerlo in poche righe. Classe 1947, attivo a partire dagli anni Sessanta, Castelli ha creato decine di personaggi scrivendo storie di tutti i generi: avventurose, umoristiche, fantastiche, realistiche, horror e perfino alcune storie western. Dal 1982 si è dedicato prevalentemente al suo Martin Mystère, la cui serie ha festeggiato l’anno scorso il quarantennale. Eppure, a dispetto della sua prolificità di autore, Alfredo ha sempre detto di essere pigro. Non pensate a una forma di civetteria tipica delle persone creative. Posso assicurarvi che il Buon Vecchio Zio Alfredo non mente. Egli è realmente pigro. E ho le prove per dimostrarvelo. 
 
Come ormai sanno anche i sassi – quello del fumetto è un mondo piccolo, dopotutto – il trio Medda, Serra e Vigna mosse i suoi primi passi nella professione grazie a Castelli. Fu proprio il BVZA a fare sì che per noi si aprissero le porte della Sergio Bonelli Editore (allora Editoriale Daim Press), nell’anno di grazia 1986. Pochi sanno però come andarono realmente le cose.

Per una serie di fortunate circostanze conoscemmo Alfredo insieme a Silver nel 1982, quando i due dirigevano in tandem la rivista Eureka! per l’Editoriale Corno. Li incontrammo di persona proprio nella nostra città, Cagliari, dove erano arrivati per un’ospitata nella trasmissione Cartoni Magici, realizzata negli studi Rai del capoluogo sardo. L’occasione diede luogo a una piacevole chiacchierata e poi a una cena. Nei mesi successivi tenemmo i contatti con Alfredo, e con grande sfacciataggine gli proponemmo due idee per Martin Mystère, che aveva appena debuttato in edicola. Inaspettatamente, le ritenne valide e le usò. Opportunamente adattati dal BVZA, quei soggetti diventarono due avventure del BVZM (Buon Vecchio Zio Marty): Il mistero del nuraghe e Il piccolo popolo. Per quest’ultima storia il soggetto ci venne regolarmente accreditato, e Alfredo ce lo pagò. Galvanizzati, gli mandammo altri due soggetti, per un totale di una decina di pagine. E attendemmo il responso.


 
Alfredo si prese il suo tempo. Passarono settimane. Passarono mesi. Alla fine, non potendo più reggere la suspense, gli telefonammo a casa. “Scusa se ti disturbiamo, ma hai letto quel materiale che...”

Sì, certo, ci rispose, lo aveva letto. E non solo: i soggetti erano interessanti, e soprattutto scritti molto bene. Il che significava che, a suo parere, potevamo tranquillamente muoverci in autonomia e proporli direttamente alla casa editrice, nella persona del direttore Decio Canzio.


Non credevamo alle nostre orecchie. Poco più che ventenni,  nel nostro curriculum non avevamo niente, se non grande passione e grandi speranze. Un conto era una collaborazione amichevole con uno sceneggiatore professionista, una cosa inter nos, insomma; altro conto era proporci come autori a un editore come Sergio Bonelli. Per quanto ingenui, ci rendevamo conto che eravamo nelle condizioni di chi guida uno scooter e si propone alla NASA per pilotare una navicella spaziale. 

 

Ma avevamo dalla nostra l'incoscienza di quell’età. Ci buttammo. Mandammo i due soggetti al famoso indirizzo, via Buonarroti 38, 20145 Milano, indirizzandoli al direttore, Decio Canzio. Ovviamente, nella lettera d’accompagnamento specificammo che Alfredo Castelli aveva letto il materiale e lo aveva ritenuto degno di attenzione, e che per questo ci permettevamo di sottoporlo ufficialmente alla casa editrice.

Gli dei – nelle sembianze di Decio Canzio e Tiziano Sclavi - sorrisero, quei soggetti divennero La donna immortale (Martin Mystère n. 79) e Quando la città dorme (Dylan Dog n. 29), e il resto è storia nota.

 


Pochi anni dopo, agli albori del decennio dei Novanta, Nathan Never era in edicola. E toccava a noialtri, ormai giocatori nel massimo campionato, visionare soggetti di giovanotti pieni di passione e grandi speranze. Confesso che la cosa mi dava una certa angoscia, specie quando dovevo esprimere responsi particolarmente negativi: cercavo di motivare al duecento per cento il mio giudizio, e non potevo fare a meno di chiedermi se stavo facendo la cosa giusta, oppure stavo stroncando sul nascere un potenziale talento.  

 

Durante uno dei miei frequenti viaggi a Milano, in redazione, presi da parte Alfredo e gli dissi di rispondere sinceramente a una domanda. Che cosa lo aveva convinto, anni prima, che tre pivellini potevano affrontare la pubblicazione professionale per Sergio Bonelli? Che cosa lo aveva spinto a scommettere su di noi in base a quelle dieci paginette? “Insomma – gli chiesi - che cosa c’era nei nostri soggetti?”

Alfredo si accese una sigaretta, soffiò una nuvola di fumo e poi mi diede, come volevo, una risposta sincera: “Mah, non lo so. Ti confesso che non li ho mai letti.”.

Rimasi di stucco. Solo allora capii che, non avendo né il tempo né la voglia di leggere, Alfredo aveva semplicemente girato la patata bollente a Decio Canzio.

 

Ecco, adesso lo sapete anche voi: la nascita di tre autori di fumetti non si deve a una misteriosa e irripetibile congiunzione degli astri, ma alla pigrizia congenita - tutt’altro che millantata - di Alfredo Castelli.