Era il 1977 quando la band salì alla ribalta col suo primo e unico album, Never mind the bollocks (“Lascia stare le cazzate”), trainato dalla ferocissima God save the Queen: “Dio salvi la regina/ e il regime fascista/ hanno fatto di te un idiota/ una potenziale Bomba H (…) non c’è futuro nel sogno dell’Inghilterra, non c’è futuro per te”. Quasi impossibile riassumerne in poche righe l’effetto bomba sulla scena rock e sulla società inglese dell’epoca.
Dei Sex Pistols, Steve Jones fu chitarrista e fondatore insieme all’amico batterista Paul Cook. A loro si aggiunsero il bassista Glen Matlock, il cantante John Lydon, più noto come Johnny Rotten (marcio), e in seguito, al posto di Matlock, John Simon Ritchie, per tutti Sid Vicious. Soprannomi significativi, questi ultimi. Il punk rock non poteva nascere da figli di papà iscritti a un prestigioso college. Nasceva dall’emarginazione e da una frustrazione rabbiosa che le classi meno abbienti riversarono nella musica, col contorno di eccessi di ogni genere.
Jones coltivò tanto la musica quanto la vocazione agli eccessi: figlio di una madre single, il piccolo Steve cresce con un patrigno che arriva ad abusare di lui, e la sua è un’infanzia che lui stesso definisce “dickensiana”: poverissima e vissuta per la strada. Il riscatto arriverà anni dopo solo grazie alla musica. Una musica vissuta con la stessa irruenza della vita quotidiana, nella Londra turbolenta degli anni Settanta, devastata dalla crisi economica e da forti tensioni sociali. La gioventù di Steve Jones è un susseguirsi di furti, arresti, promiscuità, alcol, droghe e infine concerti che si trasformano in risse, tra pugni e bottigliate. L’unico punto fermo, la stazione di ogni arrivo e partenza, è un negozio di abbigliamento di nome SEX, di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Jones lo bazzica prima da cliente, poi da amico di McLaren e infine da membro della “sua” band. Già, perché McLaren, spregiudicato manipolatore e mago dell’autopromozione, si vende da subito come “inventore” dei Sex Pistols. Arriverà a produrre anche un film (The Great Rock’n’roll Swindle, La grande truffa del rock and roll) per cementare la propria mitologia.
In Lonely Boy Jones smonta in parte la narrazione dell’amico-manager e rivendica il proprio ruolo nella nascita della band. Quello che è certo è che lui e Paul Cook arrivarono prima, e gli altri due dopo. Non fu amore a prima vista. E nemmeno amicizia. Ma, giura Jones, erano proprio quelle scintille ad accendere la miccia sul palco e a far detonare ogni canzone come una esplosione di energia.
Non per molto, comunque: ad appena un anno dal debutto discografico, le tensioni all’interno del gruppo, alimentate dallo stesso McLaren all’insegna del divide et impera, lo fanno implodere. Il bassista Matlock – il punk meno punk del gruppo, musicista vero - viene messo alla porta. Arriva Sid Vicious, amico di Rotten. Che ha due grossi problemi: il primo è che si fa di eroina. Il secondo è che non sa suonare il basso. Per quest’ultimo ci mette una pezza Jones, che spiega pazientemente a Sid dove posare le dita per suonare le note giuste. Per la droga, invece, non c’è niente da fare. Schiavo tanto dell’eroina quanto del ruolo di icona ribelle, Sid Vicious diventa presto incontrollabile.
La locandina del film The Great Rock'n'Roll Swindle
Dopo il travagliatissimo tour americano del 1978, i Pistols si sciolgono e ognuno va per la sua strada. Quella di Sid Vicious è breve: il giovane muore per overdose dopo avere assassinato (in circostanze mai chiarite) la sua compagna Nancy Spungen. L’ultimo concerto della band, al Winterland di San Francisco, si era chiuso forse non a caso con No Fun (Nessun divertimento), un pezzo degli Stooges. È in quel momento che il filmato – un video ormai storico – cattura lo sguardo stanco e disilluso che Rotten, accovacciato sul palco, getta sulla platea. Poco dopo si congeda così dal pubblico: “Ah. Ah. Ah. Avete mai la sensazione di essere stati ingannati? Buonanotte."
Con la fine della band, per Steve Jones comincia la discesa nell’abisso, tra ristrettezze economiche e dipendenze da sesso, alcol e droga: l’eroina, stavolta, non più le pillole che prendeva per tenersi sveglio e scrivere canzoni. Gli effetti sul fisico sono molto più pesanti.
Rimasto senza un soldo, Jones lascia Londra e si trasferisce negli USA, rimanendo aggrappato alla musica come a un salvagente, e qui comincia la risalita dall’abisso. Un paio di dischi, concerti, una faticosa disintossicazione, e infine, nel 2004, il programma Jonesy’s Jukebox, con cui si reinventa conduttore radiofonico. E si concede due tour celebrativi con gli altri Pistols. Col secondo di questi volano di nuovo gli stracci tra i vecchi compagni. Jones non racconta né come né perché, ma conclude che il passato ormai è alle spalle. Invece Jonesy’s Jukebox continua, sia pure su emittenti diverse, e gli procura una certa stabilità. Almeno quanto basta per guardarsi alle spalle col disincanto dei sessant'anni, e raccontare una vita turbolenta dall’inaspettato lieto fine.